Avvenire di Calabria

Dal Salento, un esempio concreto e poetico di impegno civico e culturale per riscoprire il senso di territorio e comunità

Gianluca Palma, artigiano dell’immaginario e narratore dei piccoli borghi: «La “restanza” è un atto di cura»

Passeggiate, incontri e una scuola senza voti né mura: nel Salento nasce un modello per tutto il Sud Italia che unisce cultura, educazione e partecipazione

di Mariarita Sciarrone

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Dal Salento, un esempio concreto e poetico di impegno civico e culturale: Gianluca Palma trasforma luoghi, storie e persone in semi di futuro condiviso. Con La Scatola di latta e la scuola Daìmon, racconta un Sud che non si rassegna all’abbandono, ma genera bellezza e partecipazione.

Un progetto nato dal desiderio di rimanere e restituire

Esploratore instancabile di storie, paesaggi e comunità, Gianluca Palma si definisce “artigiano dell’immaginario”, capace di trasformare la curiosità e l’amore per il territorio in un motore di cambiamento culturale e sociale.

Gianluca Palma

Nel 2010 ha fondato la Scatola di latta, un progetto nato per riscoprire e custodire la memoria collettiva dei piccoli borghi salentini attraverso passeggiate spontanee e incontri culturali. Lo abbiamo raggiunto per approfondire da vicino il suo modello di restanza.

Cosa l‘ha spinta a restare nel Salento e a concentrare i suoi sforzi sulla valorizzazione dei piccoli borghi e del territorio locale?

L’esperienza nasce dal desiderio di contribuire al benessere del proprio territorio all’indomani di una laurea in Scienze per la cooperazione e lo sviluppo. Come “applicare sul campo” le teorie e modelli dello sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia? Nel 2010, dopo gli studi, concepii “La scatola di latta” definendola come uno scrigno di beni comuni, di luoghi, storie e persone «raccolti come fiori, con riguardo e cura», errando per le vie dei paesi, delle frazioni, periferie e campagne del sud della Puglia. Da una parte ci sono i luoghi, dall’altra le persone e al centro ci sono le storie. Insieme ad un gruppo di amici proviamo a custodire la conoscenza, coltivare le relazioni e praticare la restanza.

Il nome La Scatola di Latta evoca immagini di qualcosa di semplice ma ricco di sorprese, che rimandano all’infanzia. In che modo questo progetto rappresenta l’essenza della vostra associazione e delle vostre iniziative?

Con la Scatola di latta promuoviamo occasioni di coinvolgimento delle comunità locali, attraverso passeggiate spontanee e incontri civico- culturali, con un chiaro invito a scoprire la bellezza (e la bruttezza), favorendo un’educazione estetica, critica e poetica fruibili a tutti. Passeggiate ed iniziative itineranti per paesi e paesini, tra paesani e con i paesani, per abilitare i cittadini alla partecipazione culturale a sostegno della valorizzazione diffusa dei patrimoni locali esistenti. Passeggiare per concedersi di “curare lo sguardo”, per scoperchiare prima di custodire, passeggiare per spiare dietro un balcone, per accorgersi di un dettaglio architettonico forse mai davvero osservato. Passeggiare per dare un’alternativa alla domenica pomeriggio al centro commerciale o alle tante solitudini, perché chissà chi viene stasera, chissà chi spontaneamente leggerà una sua poesia, chi metterà a disposizione la sua arte, chi rivelerà i segreti del suo antico mestiere.



Viaggiare insieme nel proprio territorio per ascoltare la spontanea declamazione di un verso di Rocco Scotellaro o per stupirsi, perché accanto ad un noto poeta come Vittorio Bodini, c’è uno scrittore o un’artista locale ancora da scoprire e da svelare. Iniziative il più possibili spontanee, ma anche inedite e irripetibili, perché difficilmente si ritorna nello stesso paese e, quando accade, il ritorno comporta l’attivazione di altre energie e competenze ad arricchire nuovi sguardi, nuove sinergie e nuove scoperte. “Comunità provvisorie” di persone si ritrovano spontaneamente per conoscere e conoscersi, per ascoltare e ascoltarsi, per raccontare e raccontarsi di storie di erranza ma anche di restanza.

Con Daìmon – A scuola per restare, propone un modello che rieduca alla cura dei luoghi e delle radici. Ci racconta qualcosa di questo progetto?

I paesi sono i luoghi ideali in cui sperimentare politiche innovative da un punto di vista civico, sociale ed economico, in cui tessere nuove comunità e costruire insieme il futuro. È da questo presupposto che nel gennaio 2020 abbiamo presentato a livello nazionale “Daìmon: A scuola per restare”.

Una narrazione in musica insieme ai giovani

Una scuola che non terminerà mai: itinerante, multidisciplinare, inclusiva, gratuita e accessibile a grandi e piccini; senza porte e finestre, senza pagelle e attestati, senza compiti e calendari da rispettare; con luoghi di apprendimento disseminati nei campi, nelle cantine e nelle botteghe, diffusa nei paesi e nei paesaggi d’Italia.


PER APPROFONDIRE: Calabria e il diritto dei giovani a restare, Vito Teti: «È la sfida per il futuro»


Una scuola adatta a chi vorrà abitare poeticamente e civicamente i propri territori e a chi vorrà conferire pienezza al proprio re-stare. Abbiamo scelto di dare alla nostra scuola il nome Daìmon, dal lessico del sentire greco. Era lo spirito guida che accompagnava gli eroi greci a compiere il loro destino, a realizzare pienamente la loro individualità, il loro essere eccezione; nel caso di Antigone era Filía: Amore.

Il successo delle vostre passeggiate comunitarie dimostra che c’è un forte desiderio di riscoprire i borghi e di ritrovare un senso di comunità lontano dai luoghi di consumo. Cosa pensa sia necessario fare affinché questa tendenza diventi un fenomeno stabile e duraturo nel tempo?

L’auspicio è quello di disseminare la Restanza ovunque possa attecchire, partendo dal basso ma chiedendo alla politica di non abbandonare i piccoli paesi, lasciandoci per esempio le Poste, una farmacia, una scuola, tutti presidi fondamentali. Ai cittadini invece tocca tirarsi su le maniche, non abbandonarsi al cinismo e al pessimismo, e rivitalizzare i luoghi che vedono ogni giorno senza magari conoscere la loro storia, il loro valore, la loro intrinseca bellezza. Per cui (il nostro è anche un augurio): restiamo seguendo il nostro demone, nella piena realizzazione – anche civica – della nostra singolarità.

In un’epoca in cui molti giovani abbandonano i piccoli centri, come pensate di rendere la restanza una scelta attraente e sostenibile per le nuove generazioni?

Daìmon, la scuola per restare, si propone di andare a conoscere alcune delle persone che già vivono in maniera responsabile i propri territori, favorendo occasioni di confronto fra diverse comunità, approcci, individualità. I partecipanti, inoltre, saranno chiamati a ricoprire il duplice ruolo di corsisti e maestri, apprendendo, condividendo e contaminando saperi e pensieri. Noi vorremmo sensibilizzare le persone a re-stare, con il trattino, cioè a rimanere nel luogo dove vivono – non necessariamente dove sono nati – prima conoscendo poi valorizzando il paesaggio, la cultura, il cibo, le pratiche, le tradizioni di quel territorio.



Non vogliamo però che soprattutto i giovani rimangano in un posto senza davvero volerlo e magari sognando di emigrare. Promuoviamo perciò la consapevolezza anche psicologica del rimanere: chi resta può dare una mano a sviluppare l’economia, la nostra è una filosofia ma vuole far quadrare anche i conti. Non siamo nostalgici né campanilistici, quello lo lasciamo a chi pensa di voler tracciare confini tra noi e gli altri.

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