
Domani in edicola: Sbarchi, emergenze climatiche e arte sacra. Torna in edicola Avvenire di Calabria
Domani, domenica 15 giugno, torna in edicola e in parrocchia, con il quotidiano nazionale Avvenire,
In un tempo segnato da individualismo e relativismo, solo una fede viva restituisce senso al legame matrimoniale e lo rende autentico
La Giornata Internazionale della Famiglia, che si celebra ogni anno il 15 maggio, è stata istituita dalle Nazioni Unite per richiamare l’attenzione sull’importanza del ruolo delle famiglie nella società. In occasione di questa ricorrenza, abbiamo raccolto la testimonianza di don Enzo Varone, sacerdote dal 1990 e Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Calabro, che ogni giorno si confronta con le fragilità delle famiglie. Con lui abbiamo parlato di accompagnamento pastorale, crisi coniugali e della necessità di annunciare e vivere il Vangelo dentro la complessità del nostro tempo.
Come si intreccia la missione del Tribunale Ecclesiastico con la pastorale familiare? I risultati del nostro lavoro evidenziano che è la stessa missione, anche se caratterizzata da un’attenzione particolare alle situazioni di sofferenza di coppie-famiglie passate attraverso il dolore della separazione. La pastorale familiare deve sostenere i fidanzati per arrivare a celebrare un “vero” matrimonio e poi li deve accompagnare e nutrire della consapevolezza della permanente presenza di Cristo nella vita della loro famiglia; una sentenza del Tribunale Ecclesiastico è una risposta alle coppie che, dopo un fallimento, si ritrovano a discernere sul significato autentico della loro relazione. Ritengo dunque che sia una missione pastorale inscindibile che ha come comune denominatore la ricerca della verità.
La famiglia viene spesso definita “Chiesa domestica”: in che modo questa espressione trova riscontro nei casi che affrontate nel Tribunale? Nel matrimonio la dimensione relazionale è essenziale per far sentire l’unicità di un rapporto che chiama ad essere “chiesa” a partire dalla loro casa. Nel nostro Tribunale anche una coppia ferita testimonia il suo essere Chiesa nella fatica di un cammino che ha bisogno di senso. Una coppia separata potrebbe apparire immediatamente come “non-chiesa”, ma in effetti non è così, perché ciascuna persona che ha patito il dramma di una separazione testimonia il cammino di quella Chiesa che vuole sempre più assomigliare a Cristo che dalla Croce passa attraverso la morte ed arriva alla resurrezione.
L’ecclesialità che vive ogni coppia, anche quella che passa per un matrimonio dichiarato nullo, ha il suo significato nella prospettiva di un percorso di speranza che ha come fine quello di dare alla vita di ciascuno quello che le è proprio. Il matrimonio traccia inevitabilmente un cammino insieme e tutto quello che viene compiuto ha il senso di quella “casa” all’interno della quale si vive ogni bene ed anche ogni difficoltà. L’essere Chiesa domestica ha bisogno di un uomo e una donna autentica, ma ha soprattutto bisogno di avere la presenza di Dio. Nelle coppie che affrontano processi canonici di nullità di matrimonio si rivela il desiderio di essere “chiesa domestica” in modo autentico e vero, così come Dio vuole per il bene non solo dei coniugi, ma anche di tutte le persone con le quali e verso le quali sono mandati per continuare la missione della chiesa di Cristo.
Quali sono le maggiori fragilità che oggi riscontrate nelle coppie che si rivolgono al Tribunale ecclesiastico? Le fragilità maggiori sono quelle legate all’incapacità di assumersi concretamente gli obblighi e i diritti che un matrimonio impone. Ci si sposa senza la consapevolezza di essere dono per l’altro cui si è uniti in modo esclusivo per un rapporto che coinvolge tutto sè stesso. Molte persone, dopo aver celebrato il matrimonio, vivono una relazione che non sono capaci di gestire a partire dalle condizioni minime, dallo stare insieme ad altra persona che inevitabilmente si pone non come ostacolo ma come risorsa, dalla paura di affrontare gli accadimenti nel dovere di rendere partecipe il coniuge di quanto si è chiamati a vivere. Dalle tavole istruttorie emerge, nella stragrande maggioranza, la fragilità di personalità e persone “inadeguate” a vivere un rapporto interpersonale e di sostenere l’esclusività del dono della vita e di garantire una condizione di vita serena per sé e per il coniuge. È una fragilità che testimonia la povertà di una vita vera a servizio del bene.
Esistono strumenti di prevenzione pastorale, prima ancora che giuridica, per sostenere le giovani coppie? L’impegno della formazione è fondamentale per cercare di prevenire la nascita di coppie che si avviino al matrimonio in modo non vero per la loro fragilità e incapacità. I nostri giovani hanno bisogno di fondamenta che diano forza al significato di un gesto importante quale quello del dono di sè ad un’altra persona, e questo è frutto non del caso, ma di una vera e propria “iniziazione” che aiuti ciascuno a fare la propria parte per rafforzarsi con il dono della fede in una scelta bella ed unica quale quella del matrimonio. Insieme, pastori e sposi, dobbiamo impegnarci a mostrare ai nostri giovani il volto gioioso di persone che si sentono “famiglia” di Dio e far loro vivere esperienze concrete di famiglia nella quale vengono coinvolti nel sentire comune ecclesiale. Abbiamo bisogno, nella pastorale familiare, di coppie-famiglia che accompagnino, personalmente, i fidanzati ed i giovani sposi a vivere la loro vita “insieme”, rendendoli soggetti attivi della missione ecclesiale per compiere l’opera di Dio e della Chiesa.
PER APPROFONDIRE: Verso la giornata della famiglia, cantiere primario di umanità e speranza
Quanto influiscono i cambiamenti sociali e culturali – come la fragilità relazionale o il relativismo affettivo – nel percorso di vita di una coppia? La cultura dominante è totalmente opposta agli intenti delle nostre proposte pastorali, ma, direi, anche opposta a che ogni persona viva al fine di realizzarsi nel bene: una serie di “illusioni” ci portano a vivere in una condizione che cerca di farci vedere la realtà diversa da quella che è. Ci perdiamo nelle cose e nel materialismo che ci opprime non solo nel concreto bisogno, ma anche in ciò che in modo indotto ci viene proposto. Siamo assaliti dalla paura del futuro, dalla precarietà delle condizioni di vita, dal timore di non riuscire a realizzare i nostri progetti… la libertà che abbiamo e soprattutto il modo sbagliato di viverla ci rende ancora più fragili, a tal punto che non ci fa essere persone coraggiose per affrontare le vicende della vita e soprattutto non siamo disponibili ad affrontare alcun sacrificio. Nelle coppie, soprattutto quelle più giovani, tutti questi fenomeni sociali hanno un forte impatto che rischia di rendere ogni persona fragilissima. L’antidoto è anteporre a tale cultura dell’effimero il senso più profondo e vero dell’Assoluto: una fede viva ci rende persone più vere!
Domani, domenica 15 giugno, torna in edicola e in parrocchia, con il quotidiano nazionale Avvenire,
È possibile esprimere preferenza per la formazione e per l’impiego nelle specializzazioni in materia di
Si trattava di opere di teologia, filosofia, scienze, astrologia o semplicemente stampate in ambienti protestanti
Tags: famigliaReggio Calabria