Un adolescente della piana di Gioia Tauro, poco più che maggiorenne racconta come è finito dentro il circuito della giustizia minorile e come è rinato
La testimonianza dell’hacker pentito: «Ragazzi non fate i miei errori»
Dal “dark web” alla Comunità "Luigi Monti" di Polistena Islam, da poco maggiorenne, lancia un appello ai coetanei
di Francesco Chindemi
27 Aprile 2023
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Da modello negativo ad esempio per i più giovani, un giovane della Piana di Gioia Tauro racconta ad Avvenire di Calabria come è finito dentro un percorso di giustizia minorile. Islam - questo il suo nome - ha intrapreso un cammino di “rinascita” accompagnato dai servizi sociali e dalla procura minorile - presso un centro, il “Padre Monti” di Polistena, che si occupa di ragazzi problematici. La sua testimonianza diventa un documento prezioso e, soprattutto, un appello a scegliere sempre il bene.
Il racconto di Islam: «Così sono finito nel circuito della giustizia minorile»
«Il passato certamente non si dimentica. Ma per correggere gli sbagli si è sempre in tempo e questo aiuta ad essere più forti». Islam Douida ha appena 18 anni. È finito nel circuito della giustizia minorile per aver commesso dei reati legati al “dark web”, la parte più “oscura” della rete. «È la porta d’accesso a tante forme di criminalità: dal terrorismo alle mafie», spiega il ragazzo per far comprendere la gravità del reato di cui si è macchiato e per il quale, oggi, si trova affidato ad una comunità residenziale, dove - di dice - «sto correggendo i miei errori».
Qui da circa un anno ha iniziato un nuovo percorso che - è lui stesso il primo a sperarlo - lo porterà a definire il suo progetto di vita. Il Centro in cui si trova è la Comunità “Padre Monti” di Polistena, gestita dalla Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione. Insieme a lui, a condividere questa esperienza, ci sono altri ragazzi più o meno della sua età provenienti da situazioni di disagio o devianza. «Il mio percorso di messa alla prova - ci racconta - è iniziato il giorno del mio diciottesimo compleanno». Ancora minorenne «sono entrato in questo mondo. Avevo 14 anni. L’ho fatto come una forma di reazione a bullismo e razzismo, oggi riconosco che ho sbagliato». Islam è nato in Italia, ma è di origine marocchina. Si sente doppiamente legato a entrambe le culture.
«Il tanto tempo trascorso a casa durante la pandemia mi ha fatto prendere ancor di più la mano, facendomi fare cose brutte. Non c’era un vero motivo. Purtroppo mi sono appassionato in negativo. Mi sentivo un hacker. Fin quando - racconta - un giorno non mi sono trovato la polizia postale in casa». Da quel momento è iniziato «il mio cammino di riparazione con la giustizia». Il racconto dei momenti vissuti si alternano come le scene di un film: la prima udienza, servizi sociali, avvocati, fino alla collocazione in comunità.
«Se fossi consapevole di infrangere la legge? Certo che lo sapevo. Tuttavia solo qui ho compreso la vera gravità di quanto stessi facendo». Insieme a questo, aggiunge, «confrontarmi con gli altri, relazionarmi con essi e, in particolare, impegnarsi per gli altri, ha aiutato soprattutto me stesso a “riscoprire” il vero me. Il commettere reato, il fare del male - aggiunge - è in realtà un nascondersi dietro una maschera che non ti appartiene». Importante, sottolinea Islam, «l’essermi confrontato con altre storie, per molti versi simili alle mie. Mi ha reso più consapevole delle mie azioni, non solo di quelle cattive che ho commesso». Nel frattempo, Islam ha scoperto che può continuare a coltivare le proprie ambizioni, come l’informatica, «in chiave positiva».
«Da questo punto di vista è stato di fondamentale aiuto l’aver frequentato un corso tenuto proprio dalla polizia postale. Ho compreso - aggiunge - che intraprendere percorsi di legalità nella vita quotidiana contribuisce a gettare le basi per un futuro fatto di certezze».
Tornare a scuola, dunque, è il prossimo passo. «Un cammino che ho interrotto bruscamente ma che voglio adesso riprendere. Insieme agli educatori afferma - stiamo valutando il da farsi, tenendo conto delle mie attitudini». È un messaggio di riscatto e rinascita quello che Islam vuole condividere oggi con gli altri ragazzi.
«Quello che ho commesso io non è una cosa da poco. Cosa dico ai miei coetanei e quelli più piccoli di me? Di credere innanzitutto in sé stessi, di non farsi influenzare. Studiate e divertitevi allo stesso tempo ed evitate di chiudervi in voi stessi di fronte ai problemi. I guai più grossi iniziano solitamente dalle piccole cose. Non tenete mai dentro nulla. Sfogatevi con i vostri genitori, con un amico, anche con chi rappresenta la legge. Condividere le proprie fragilità - conclude - è sempre un bene. Non rende deboli, ma più forti».
La buona ricetta per il progetto di vita
Fratel Stefano Caria, religioso della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, è educatore e direttore della “Comunità Luigi Monti” di Polistena. Ci accompagna a conoscere questo che lui stesso definisce un «luogo di accoglienza per bambini e ragazzi che provengono da situazioni difficili. In questa struttura, nata tra i primi del ‘900 come orfanotrofio per accogliere gli orfani del terremoto del 1908, c’è la storia di intere generazioni di fanciulli e ragazzi».
Negli anni questa struttura è diventata Istituto e poi comunità di accoglienza secondo le nuove normative. «Attualmente - spiega ancora fratel Stefano - sono tre i servizi educativi: la Casa famiglia, il Centro diurno e la Comunità specialistica “Fratel Stablum”».
Questa comunità, spiega ancora il direttore, «lavora a servizio dei ragazzi e dei bambini che accoglie e anche delle loro famiglie. Abbiamo la possibilità tramite l’equipe degli educatori, la psicologa, le assistenti sociali, di poter fare per loro e con loro tantissime attività: dalla preparazione scolastica alle attività sportive, la danza per le bambine». Ma anche attività di laboratorio «per aiutare a sviluppare capacità lavorative, come la falegnameria o la sistemazione dei giardini. Per alcuni dei nostri giovani, i più grandi ovviamente, sono previsti anche dei tirocini formativi in aziende del territorio così come presso la nostra Cooperativa sociale, la Cooperativa “Idea” che insieme al Consorzio sociale Goel sviluppa progetti di inserimento lavorativo per i ragazzi».
«La storia di Islam ancora la testimonianza di fratel Stefano - è emblematica. Ha iniziato qui un percorso di vita, grazie al quale, nonostante sia passato poco tempo, sta concretizzando alcune sue aspirazioni». «Ciò che colpisce molto noi educatori - prosegue - è proprio osservare questi ragazzi crescere cambiando, assumendo maturità e consapevolezza che il mondo può essere visto anche da altri punti di vista. L’impegno che il ragazzo mette, insieme a quello che mettono gli educatori, costituisce la buona ricetta per costruire un buon progetto di vita».
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