Avvenire di Calabria

Tra i relatori anche padre Guido Bertagna

Giustizia, storie a confronto

Stefania Laganà

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Un appuntamento per «quelli che hanno fame e sete di giustizia» si è tenuto presso il salone “Pio X” della Concattredale di Palmi. “Pena, misericordia, riparazione”, una due giorni – nello scorso week end tra il 10 e l’11 marzo – promossa dall’associazione di volontariato Presenza onlus e che ha registrato importanti relatori come Emanuele Crescenti, procuratore della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto, Roberto di Palma, sostituto procuratore della Dda Reggio Calabria, don Silvio Mesiti, cappellano del carcere di Palmi, Claudia Mazzucato, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Adolfo Ceretti, dell’Università degli Studi di Milano–Bicocca, e padre Guido Bertagna, mediatore penale. A concludere l’iniziativa ci sono state le testimonianza di Agnese Moro, Adriana Faranda e Franco Bonisoli. Tre protagonisti della stagione del terrorismo nel nostro Paese capaci di parlare delle loro esperienze «a confronto» sulla domanda di giustizia e sulle risposte all’ingiustizia. Tra gli interventi, don Silvio Mesiti ha parlato di «un argomento sempre attuale ed eterno in quanto riguarda l’uomo e la sua dignità personale». Il sacerdote si è soffermato sull’uso “improprio” di Dio: «Accogliendo a cuore aperto il dono del perdono, l’uomo, mentre ritrova la gioia del suo rapporto col Padre, ritrova anche se stesso, la sua autenticità e, nello stesso tempo, la capacità di perdonare a sua volta i fratelli per ristabilire la pace con loro». Sul punto, da un punto di vista diametralmente opposto, è intervenuto anche il pm Roberto Di Palma: «Il peccato richiede di essere svelato, ma l’approccio verso il suo autore non deve essere finalizzato a perseguire a sua volta il male». Una chiave di lettura sulla dimensione teologica della pena: «Il perdono e la misericordia che ad esso è sottintesa non costituiscono una situazione di passività, bensì un atto di relazione che delinea un percorso rispetto ad una precedente relazione che non si è realizzata», ha spiegato il magistrato impegnato in prima linea contro i clan della ‘ndrangheta reggina. Certamente centrale è stato l’intervento di Agnese Moro che ha descritto tutto il suo tormento e dolore di fronte all’uccisione di suo padre, un dolore che è e rimane parte integrante dell’esistenza sua e di tutta la famiglia che non può e non deve essere dimenticato nell’immensa tragedia che una tragedia di tutta l’umanità. Le conseguenze di questo disastro sono state la tentazione di chiudersi isolata nel proprio dolore rifiutando qualunque forma di dialogo prima e di confronto autentico col resto del mondo. Dopo lunghi anni di fronte alla proposta del gruppo a cui oggi appartiene e che intende aiutare tutti coloro che vivono questa dimensione, ha trovato il coraggio, ma certamente la necessità di guardare negli occhi le persone che sono state la causa e gli artefici di questi misfatti per capire meglio non tanto le motivazioni personali delle loro scelte omicide quasi per avere una risposta di carattere morale, quanto piuttosto per potere guardare insieme gli avvenimenti che hanno sconvolto l’Italia intera.