
Sono i portinai del cielo. Li ha definiti così papa Francesco non più tardi di un mese fa, ricordando che quando moriremo ad aprirci la porta del paradiso - o forse a sbattercela in faccia - ci saranno loro. I poveri. E forse anche noi risponderemo con parole umane, facendo finta di non capire. Quando Signore ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito? Ecco quando, tutte le volte che siamo passati accanto a questi ultimi e non ci siamo accorti della loro presenza. Quasi fossero invisibili. Eppure Mariano “abita” in una casa di cartone e tavole di legno all’interno del parcheggio del cimitero di Condera. Silvio si aggira nei pressi della stazione centrale e la “sua” panchina di riferimento è quella di lato alla statua di Garibaldi nella omonima piazza. Lionel non c’è più, ma se ne sono accorti in pochi, perché è tornato al Padre una sera, sui binari, investito da un treno mentre saliva in “camera”, nell’albergo della Stazione, come amava apostrofare la carrozza che lo ospitava di notte, soprattutto quando faceva freddo.
L’elenco è lungo. I portinai del cielo sono tanti a Reggio Calabria. E puzzano da morire. Hanno l’odore fetido di chi non si lava da giorni, le mani sporche, qualcuno ha la mandibola fratturata, perché è vero che sono portinai ma fanno a cazzotti anche loro, tra di loro, come noi altri di qua.È lunedì quando inizia una nuova settimana di impegno per la mensa itinerante, una iniziativa sostenuta e portata avanti dalla Caritas diocesana di Reggio Calabria - Bova grazie al preziosissimo contributo dei fondi 8xmille della Cei. Grazie alla solidarietà e ai fondi Cei, erogati volontariamente dai contribuenti, una squadra di sei volontari si dà appuntamento alla chiesa di San Giorgio Martire nel primissimo pomeriggio e inizia a cucinare. Ma la cucina, il cibo da distribuire, è solo un pretesto per creare una relazione. In questa squadra incontriamo Tiziana, Maria, Bruna, Alessandro, l’altra Tiziana Nino, Patrizia e tanti altri. Dicono di aver incontrato il volto di Gesù guardando in faccia queste persone, queste povertà, la loro croce che giornalmente sembra schiacciarli e consegnarli a una vita che non ha senso di essere vissuta. C’è la comunità di Sant’Egidio, c’è il Masci degli scout, ci sono persone senza appartenenze che scelgono di dare una mano. Ci sono anche i volontari che non possono più uscire per strada a causa di cattive condizioni di salute o per la pandemia, e così scelgono di contribuire acquistando le materie prime che verranno trasformate in cibo caldo nelle cucine della parrocchia di San Giorgio Martire. E questo giro di consegna pasti è l’occasione per vederli, per toccarli, per stringere mani sudicie, per abbracciare vestiti sgualciti, per sentire storie di miseria. È l’occasione di incontrare faccia a faccia Gesù Cristo e non ce la lasciamo scappare. I volontari ci parlano di «Odore della sofferenza» mutuando al bello la puzza che queste persone emanano.
Ma occorre stare lì di fianco senza schifarsi per capire a fondo questi portinai del cielo. Silvio ha lavorato nell’edilizia per 15 anni, poi la moglie se n’è andata con un altro, sua madre è morta e lui si è ritrovato per terra «fisicamente e psicologicamente» ci racconta. Mariano bacia la mano di una volontaria e lei ricambia, fa un certo effetto, perché i poveri qui sono in carne e ossa, più ossa che carne per la verità. E sono davvero sofferenti, come Mariano che è ammaccato dopo una colluttazione con un poco di buono che si aggira dalle parti di “casa sua”. Salvatore ci mostra la sua carta d’identità, dalla quale risulta che abita in via Filemon, 65. Si tratta di una via fittizia, una conquista che questi volontari hanno chiesto per anni e ottenuto dal comune di Reggio. Per i più la via fittizia non significa proprio nulla, perché ognuno di noi di qua ha una residenza, ma chi non ha una fissa dimora - un clochard per intenderci (che suona meglio in francese al posto dell’italiano senzatetto) - così recupera la dignità di persona. Perché esiste. Perché può avere un documento che ne attesta l’esistenza. Altrimenti portinaio del cielo si potrebbe scrivere nella carta di identità, ma non l’indirizzo di residenza. «La prima persona a cui ho fatto vedere il mio nuovo documento - dice Salvatore - è un funzionario della Questura che mi diceva “non si può fare”». Forse questo signore non sa che nulla è impossibile a Dio, nemmeno innalzare i poveri e rimandare i ricchi a mani vuote.