Avvenire di Calabria

Intervista al noto docente di Sociologia generale e Sociologia dell’Educazione e della Famiglia e dottore di ricerca presso l’Université René Descartes, Paris V La Sorbonne

Famiglia, parla il sociologo Bovalino: «C’è un forte desiderio di riscoprire la fede e i veri valori»

La proposta: «La comunità ecclesiale deve interagire con le famiglie in maniera orizzontale, confrontandosi con le nuove dinamiche sociali che condizionano le relazioni»

di Davide Imeneo

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Famiglie «sempre più fragili», alle prese con nuove dinamiche sociali, alimentate da media e social-network, che ne sminuiscono il ruolo educativo. Nonostante ciò, si avverte forte il desiderio di condividere e trasmettere valori che si credevano persi, non senza difficoltà. Anche la Chiesa può giocare la propria parte.


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


Ne abbiamo parlato con Guerino Nuccio Bovalino, docente di Sociologia generale e Sociologia dell’Educazione e della Famiglia presso l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, nonché dottore di ricerca presso l’Université René Descartes, Paris V La Sorbonne.

Come è cambiata oggi la realtà familiare?

La famiglia è il nucleo primario della società. Pur incarnando le naturali esigenze umane di amarsi e generare vita, è ritenuta dai teorici del nichilismo edonistico una forma di unione fuori dal tempo. Oggi il gesto di creare una famiglia è un atto quasi trasgressivo. Le famiglie soffrono il costante impeto delle sollecitazioni di una società che non educa all’amore, inteso come destino di un percorso che ci congiunge all’altro per la vita, ma promuove conoscenze fugaci e la moltiplicazione delle esperienze. È “l’amore liquido” teorizzato dal sociologo Zygmunt Bauman che si caratterizza per il trionfo delle “relazioni negative” e che sancisce, come ha ben illustrato la sociologa Eva Illouz, “la fine dell’amore”.

In queste nuove dinamiche come si inserisce la trasmissione della fede?

Il Papa ha riconosciuto che negli ultimi decenni «si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico». Le cause sono il poco dialogo in famiglia, l’influenza spesso nefasta dei mezzi di comunicazione, l’individualismo sfrenato e il consumismo. Ma abbiamo raggiunto un punto di saturazione per cui proprio lo sviluppo inarrestabile della società dell’immagine inconsistente, del vacuo materialismo e dell’egoismo ha riacceso nel singolo e nella comunità il desiderio di un ritorno a una dimensione spirituale e religiosa. L’era che giunge si rivelerà un tempo profondamente religioso.

Secondo lei in che modo la comunità ecclesiale può “interagire” con le famiglie?

La comunità ecclesiale deve interagire con le famiglie in maniera orizzontale, confrontandosi con le nuove dinamiche sociali che ne condizionano la costruzione e le peculiari forme relazionali. Questo atteggiamento va coniugato però con una verticalità che consenta alla comunità ecclesiale di fornire un pensiero forte alle famiglie sempre più fragili e costrette a subire la pressione dei media e dei social che ne indeboliscono il ruolo educativo. La comunità ecclesiale deve utilizzare i media per comunicare il proprio messaggio di fede, ma deve indicare una alternativa concreta alla società-reality show. È compito della comunità ecclesiale consentire alle famiglie di accedere a quella dimensione privata e intima della fede dove risiede il senso profondo del vivere e del vivere insieme. È un momento storico nel quale è viva la voglia di riscoprire valori che credevamo persi.


PER APPROFONDIRE: Le indicazioni della sociologia frenano la «pastorale strabica»


I corsi di preparazione al matrimonio come potrebbero essere valorizzati in tal senso?

La comunità ecclesiale deve comunicare la gioia dello stare insieme e della genitorialità. Viviamo nell’era dell’adultescenza, come adulti intrappolati dentro una adolescenza eterna e illusoria. Procrastinare è diventato naturale. Non ci si vuole assumere delle responsabilità. Unirsi in matrimonio è un impegno poiché oltre all’amore verso l’altro richiede la maturità di divenire la casa e il rifugio di chi si sceglie per la vita. La comunità ecclesiale deve raccontare la bellezza della genitorialità. Rieducare al ruolo di madre e padre. La nascita di un figlio è presentata dai media e dai social come un momento di trasformazioni negative, causa di crisi esistenziali e di coppia. La genitorialità è associata nell’uomo alla graduale perdita della virilità e nella donna all’inizio della decadenza della bellezza del suo corpo. Un figlio, invece, è un dono. Ci riconnette al ritmo della natura contro ogni dimensione artificiale dell’era digitale che abitiamo. Crescere un figlio richiede una cura quotidiana. È la lenta costruzione della felicità e della vita di un piccolo essere umano grazie al quale diveniamo famiglia. I nove mesi della gravidanza non sono solo un’attesa legata a un processo che rispetta la fase di crescita biologica, ma sono nove mesi in cui si impara a legarsi e rilegarsi al miracolo che prende lentamente forma e vita. Un percorso che è umano, naturale e mistico, perché legato all’idea di segreto ( mysticum) che si rivelerà alla fine di un percorso condiviso fra marito e moglie. Un momento in cui convergono la dimensione biologica e quella spirituale e, per chi crede, religiosa e perciò fideistica. 

Articoli Correlati