Avvenire di Calabria

La testimonianza di Roberto Oliva, seminarista 28enne di Praia a Mare, che sarà ordinato presbitero venerdì

Il futuro prete: «Gesù mi ha educato alla sua misericordia»

Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

di Roberto Oliva * - La figura del prete per me è sempre stata troppo alta e irraggiungibile, al punto da non rientrare mai nei miei sogni e desideri di quando ero piccolo. Mai avrei immaginato di diventare prete, non mi sentivo adeguato. Per il periodo dell’adolescenza ho rimosso questa ipotesi, costruendomi mille professioni fatte a posta per me dove potevo esprimere le mie capacità, mentre alla luce della vocazione ho capito che il diventare prete è scoprire effettivamente che è il Signore il vero artefice di tutto.

C’è stato un episodio particolare della mia vita in cui tutto questo è diventato realtà. Durante la settimana santa del 2010 con il mio carico di dubbi e inquietudini – a volte me la prendevo anche con Dio – mi sono sentito di andarmi a confessare con un desiderio profondo di incontrare Dio. Da quella confessione ho iniziato a partecipare con interesse ai vari appuntamenti della settimana santa e sentivo che la vicenda di questo povero uomo di Nazareth mi coinvolgeva sempre di più. Se dovessi indicare una data importante nella storia della mia vita è il 4 aprile 2010, il giorno di Pasqua! Da quella settimana qualcosa dentro di me cambia, ancora non riesco a darne una spiegazione, ma mi sono sentito attratto da quel Gesù che io inconsapevolmente ho sempre cercato e desiderato. Nelle sere successive ricordo che inizia a leggere uno dopo l’altro i Vangeli e meditavo a lungo in silenzio sui vari episodi della vita di Gesù. Lentamente mi sentivo anche chiamato a condividere ogni giorno l’Eucarestia e Lui sempre di più mi attirava dentro la sua amicizia. Il cammino con Gesù ha sempre mantenuto questa costante intimità che mi ha procurato e mi procura una quantità smisurata di gioia che spesso non riesco a contenere. Col passare del tempo però mi sono reso conto di non esserne all’altezza: la bellezza della vocazione supera le mie fragilità che rimangono sempre nonostante i miei sforzi. La gioia dei primi mesi è maturata nel tempo in una fedeltà del Signore nei mie confronti che è da capogiri: non sono io il fedele, ma è Lui che mantiene fede alla promessa fatta.

Per una ragazzo come me – abituato allo stile relazionale frettoloso di oggi – l’affetto di Gesù mi ha lentamente educato ad un amore molto più profondo e sensibile e soprattutto alle sorprese della sua misericordia. Mi rendo conto che a Lui non interessa la mia bravura ma l’abbandono nella sua affidabilità. Rispetto ai primi anni del mio percorso vocazionale, ho imparato a non scandalizzarmi della mia povertà, ma a considerarla come il luogo dove il Signore viene a curarmi le ferite e può manifestarmi pienamente il suo amore. Un amore cioè che non mi allontana perché sbaglio, ma mi accoglie settanta volte sette come la prima volta: a questo genere di amore non ci si abitua facilmente. Ecco perché ho scelto di donare al Signore la mia vita perché ho sentito che quel desiderio di amore e di senso che avevo poteva trovare in Lui pieno compimento a servizio di una fetta di persone molto più grande di coloro ai quali io ritengo di voler bene.

* seminarista

Articoli Correlati