Avvenire di Calabria

Il giorno di Natale nella Reggio nascosta

Accanto alle luci appese nelle nostre strade esiste un’altra vita, sconosciuta perché umile e silenziosa

Enzo Petrolino

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Nella tradizione cristiana come profezia per eccellenza della nascita di Gesù viene assunto il testo di Michea. Si precisa il luogo da cui uscirà il Salvatore: da Betlemme, la «feconda», questo il significato etimologico di Efrata, definita a più riprese, dalla tradizione ebraica la la troppo piccola per essere messa in conto tra le città di Giuda. Un’insistenza voluta per accentuare il contrasto con Gerusalemme, famosa e forte. Da questo oscuro villaggio uscirà davanti a Dio e al suo servizio il Messia, per esercitare la sovranità su Israele. Dio fa storia scegliendo i soggetti meno rilevanti nella categoria dei “poveri di Jahvè”. I poveri di Jahvè sono persone religiose che, dal punto di vista sociale, sono in una condizione di non potere e dal punto di vista della fede collocano tutta la loro speranza nella gratuità del dono di Dio, vivono di attesa che le promesse del Signore si compiano finalmente nella storia e nella loro vita.

Scarno e asciutto è quel che scrivono i Vangeli riguardo al Natale ma sdolcinata è diventata la maniera di presentarlo e viverlo. In questo modo la nascita di Gesù rischia di impantanare la verità evangelica in una bella favola che va a toccare le corde dei sentimenti ma che poco o nulla incide nella vita del credente. Gli evangelisti non hanno avuto alcuna intenzione di descrivere minuziosamente la cronaca del giorno, mese e anno, in cui a Betlemme, è nato un maschietto al quale i genitori hanno posto nome Gesù, l’ebraico Jeshua (“Il Signore salva”).

Quel che viene presentato nei Vangeli non è una cronaca ma un’interpretazione della nascita di Gesù, alla luce della sua morte e risurrezione, dove i sentimenti vengono fatti tacere per lasciare il posto ai significati. Per scoprire quali essi siano occorre giungere al significato profondo della narrazione evangelica. La luce che viene fuori è l’annuncio della realizzazione del progetto di Dio sull’umanità: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), avveratosi storicamente in Gesù di Nazareth e proposto, attraverso di Lui, a ogni persona: «A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Ma chi l’ha accolto? Non i capi religiosi ma i pastori, non i pii farisei, ma i magi, gli impuri pagani. Quelli che erano considerati esclusi dal piano di Dio hanno accolto Gesù; quelli che si ritenevano gli eletti privilegiati hanno rifiutato il disegno del Signore sull’umanità.

L’annuncio della nascita di Gesù non suscita gioia ma provoca il panico nella città santa, Gerusalemme. La venuta del “Dio con noi” spaventa tutta Gerusalemme: da Erode, re illegittimo, ai sacerdoti. Tutti allarmati, sbigottiti, e presi dalla paura di perdere il potere e i propri consolidati privilegi. E la casta sacerdotale, anziché accorrere per accogliere e rendere omaggio all’atteso Messia, si inquieta per la notizia. I capi religiosi preferiscono restare sottomessi a un re illegittimo per poter mantenere i propri privilegi piuttosto che accogliere il liberatore d’Israele e perdere il dominio sul popolo. A parole auspicavano la venuta del Messia, in realtà la temevano. E la stella, segno celeste che mai brillerà a Gerusalemme, sarà scorta nel tanto disprezzato mondo pagano, i cui rappresentanti, i magi, verranno per rendere omaggio al rifiutato dal suo popolo. E saranno i pastori a far conoscere al mondo la grande novità che diventerà poi il filo conduttore del Vangelo, la “buona notizia”: quando Dio s’incontra con i peccatori non li castiga ma li avvolge con il suo amore, perché questo Signore non è attratto dai meriti delle persone ma dai loro bisogni, ed «è benevolo verso gli ingrati e i malvagi». Con Gesù, Dio non è più da cercare ma da accogliere. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio ma vive di Dio, e con Lui e come Lui va verso gli altri.

Questo progetto “si è fatto carne”, si è realizzato nella debolezza della umanità. Con Gesù, Dio chiede a ogni persona di essere accolto nella sua vita, per fondersi con Lui, dilatare la sua capacità d’amare e renderlo l’unico vero santuario nel quale s’irradia il suo amore e la sua misericordia. Mentre nell’antico santuario erano le persone che dovevano andare, e non tutti avevano l’accesso, nel nuovo santuario è questo santuario che va verso gli ultimi, che va verso gli esclusi. Il fatto che questo progetto di Dio si manifesta nella carne, nella debolezza della carne, indica che non esiste dono di Dio che non passi attraverso l’umanità: più si è umani e più si manifesta il divino che è in noi.

Ecco il grande messaggio che il Natale ci dà: bisogna accogliere questo amore di Dio e manifestarlo. Non bisogna combattere le tenebre, non bisogna sprecare energie per combattere ma la luce si deve espandere. Nella misura in cui la luce si espande ecco che le tenebre se ne vanno. Questa idea verrà formulata da Gesù, pochi istanti prima di essere arrestato, quando dirà: «Coraggio io ho vinto il mondo». Coloro che si pongono a fianco della verità della luce, dell’amore, saranno sempre i vincitori sulla tenebra, sull’odio e sulla morte.

È Natale e, malgrado la crisi, non mancano nella nostra Città acquisti e nastri colorati. Accanto alle luci che illuminano le strade esiste però un’altra città, sconosciuta ai più, perché umile e silenziosa: è la Reggio dei poveri.

Giovani o anziani, italiani o immigrati, sono persone che non hanno famiglia, non hanno casa, non hanno un lavoro per mantenersi o un medico che li possa curare. Allora, se ci si sofferma un po’ di più, ecco che accanto a un mondo e a un tempo fatto di canzoncine e di regali scartati, emerge un altro mondo fatto di moltitudini di uomini e donne in fila con vassoi, piatti e posate di plastica per mangiare.

Esiste, dunque, anche qui tra noi, e non necessariamente in un mondo lontano, “terzo”, un universo “invisibile” di persone per le quali il Natale ha un significato molto diverso, forse più essenziale. Cosa faranno queste persone per Natale? Con chi e dove saranno oggi?

Madre Teresa di Calcutta ci aiuta a dare concretamente una risposta a questi interrogativi: «È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tieni la mano. È Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro. È Natale ogni volta che non accetti che gli oppressi vivano ai margini della società. È Natale ogni volta che speri con quelli che disperano. È Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere in te e poi lo doni agli altri».

Articoli Correlati