Avvenire di Calabria

Monsignor Francesco Savino è stato eletto vicepresidente della Cei per l’Area Sud: «Don Tonino Bello? Esempio del servizio disinteressato»

Cei, l’intervista al vicepresidente Savino: «Evangelizzare chi rifiuta la Parola»

La Conferenza episcopale italiana si rinnova. Lo stile sinodale ha avviato una stagione di riforma della Chiesa: a guidarla Zuppi e Savino

di Davide Imeneo

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Monsignor Francesco Savino è stato eletto vicepresidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) per l’Area Sud.

Savino, la prima intervista da vicepresidente Cei

Abbiamo intervistato monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei per l'Area Sud e vescovo di Cassano allo Ionio, su diversi temi: dall'amicizia con don Tonino Bello all'esperienza sinodale. Fino a giungere al riscatto del Mezzogiorno d'Italia.

Monsignor Savino come ha accolto l’elezione a vicepresidente Cei? Qual è stata la prima cosa che ha pensato?

Con gratitudine verso il Signore e verso i confratelli vescovi per la loro fiducia riposta in me. Ho pensato a questo nuovo incarico trepidando un po’, a motivo della responsabilità nel “rappresentare” il Sud d’Italia, ma anche confidando nel fatto che chi mi ha eletto avrà evidentemente attenzione verso quello che io potrò raccogliere ed eventualmente proporre da quest’area, che - è inutile negarlo, occorre ribadirlo è avvertita e - ciò che è peggio - avverte se stessa come periferica. Spero che insieme possiamo arrivare a qualcosa che sia un cambiamento culturale, almeno sul piano percettivo: la consapevolezza, come diceva ormai anni fa un lucido meridionalista quale fu padre Bartolomeo Sorge, e finanche la fierezza di essere noi stessi con i nostri valori e la nostra tenacia, in una rinnovata o ritrovata volontà di cambiare, per rapportarci in maniera solidariamente paritaria e corresponsabile con il resto d’Italia, sia a livello civile, sia a livello religioso, e perché no, anche a livello ecclesiale.


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Lei è cresciuto a stretto contatto con un santo vescovo e adesso si ritrova a servizio di tutti i vescovi italiani, cosa porta di quella testimonianza in questo nuovo servizio?

Il contatto con don Tonino Bello è stato e resta per me fonte di arricchimento umano, spirituale ed ecclesiale. La sua testimonianza è non solo per me, ma per tutta la Chiesa, l’indicazione fortissima di essere profondamente impiantati in un mistero di amore, il mistero di Dio, che continuamente trabocca – e dobbiamo lasciare traboccare in noi - attraverso Gesù. È poi strumento, grazie ai suoi scritti, al ricordo dei suoi gesti, spesso tanto coraggiosi, quanto all’epoca incompresi, e grazie soprattutto al suo esempio, di crescita nella consapevolezza che quel mistero d’amore va tradotto ogni giorno nel servizio disinteressato, continuo, programmato e sistematico a vantaggio di coloro che il Vangelo predilige: i poveri, gli indifesi, quelli che non hanno né parole né altri “santi” sulla terra, se non i Santi del cielo cui quotidianamente affidano la loro fatica di vivere, di tirare la carretta, di continuare a credere nella vita e nella bontà.

Si sta concludendo il primo anno pastorale dopo l’apertura del Sinodo nelle diocesi. Secondo monsignor Savino come sta andando questo cammino per la Chiesa italiana?

Il cammino sinodale per la Chiesa italiana è carico di speranza e di sogni. Dalla relazione conclusiva consegnata a noi Vescovi è emersa una ricchezza di pensieri e un desideri di cambiamento, al di là di consapevolezze ecclesiali più o meno profonde. È iniziato un processo che necessita ora di continuità e di tempo, convinto che – come ha scritto papa Francesco – «il tempo è superiore allo spazio» e che ‘la realtà è più grande dell’idea’. Sta nascendo – deve nascere – un’esperienza ecclesiale fatta di quel sano realismo che sa di ferialità e, soprattutto, di attenzione alle persone, ascoltandole e accogliendole e, perfino, lasciandosi provocare dalle loro sottolineature e dalle loro critiche. Se è vero – come dice il Concilio – che c’è un sensus fidei in tutto il popolo di Dio, effuso dallo Spirito, allora è giunto il tempo in cui tutti noi battezzati – clero, laici e consacrati tutti – siamo chiamati a rivedere stile e approcci pastorali, con la consapevolezza interiore che il mondo, per essere servito e illuminato dalla gioia del Vangelo, va ascoltato. Profondamente ascoltato! E il Sinodo ha iniziato ad aprire le porte di questa consapevolezza.

Nello specifico, secondo lei quali sono i risvolti sinodali che sono più utili alla Chiesa calabrese?

La domanda meriterebbe una trattazione più articolata. La Chiesa calabrese è una realtà pastorale variegata, con tante ricchezze e bellezze e, parimenti, con non pochi problemi. I risvolti sinodali che auspico abbracciano soprattutto le tre parole chiavi che fanno da sfondo al Sinodo: comunione, partecipazione e missione. Abbiamo bisogno di una comunione che non sia formale, ma profondamente sinodale: in ascolto di tutti e in ascolto dello Spirito. Una pastorale senza ‘discernimento’ è povera e infeconda. Produce quell’immediatezza emotiva che, non di rado, non incide in quei processi del cambiamento e, allo stesso tempo, in quelle istanze profetiche che toccano le piaghe delle ingiustizie varie e del malaffare dif-Monsignor fuso. E accanto alla necessità di una comunione più vera, occorre stimolare il protagonismo di tutti i battezzati, in tutti i settori della vita della Chiesa e della società calabrese: non una Chiesa clericale, ma una Chiesa partecipativa, di battezzati impegnati e consapevoli della propria missione. Una missione che va orientata all’evangelizzazione dell’esistente e al tentativo di entrare in quei settori dove il Vangelo o non è conosciuto o è disatteso o è rifiutato. E qui dovrei parlare di tutta la nostra evangelizzazione orientata all’iniziazione cristiana, alla religiosità popolare, allo stile di vita di noi credenti dentro le nostre comunità cristiane.


PER APPROFONDIRE: 7 anni da vescovo, la diocesi di Cassano festeggia Savino


Quale obiettivo si auspica di raggiungere durante il cammino sinodale nella sua diocesi di Cassano?

La Chiesa locale che mi è stata affidata – sono già sette anni che le offro il mio servizio – è una realtà piccola, ma bella, fatta di semplicità e di sogni. Non mancano, comunque, difficoltà e problematiche pastorali, ma credo di poter dire, con estrema sincerità, che uno degli obiettivi, emersi anche nello nostra relazione sinodale diocesana, sia l’amore per la Chiesa e il desiderio della partecipazione da parte di quei battezzati consapevoli della propria missione. Ho chiesto alla mia diocesi di verificare il cammino conciliare di questi ultimi cinquant’anni, nonché le esperienze formative vissute lungo il mio episcopato. Ne è emerso un bisogno formativo significativo e la voglia di sentirsi più protagonisti nella vita della Chiesa: sono i miei auspici, che porto dentro e che sorreggo con la mia preghiera. Ringrazio i presbiteri per la loro disponibilità e chiedo loro di vincere le tentazioni del clericalismo del «si è sempre fatto così» e plaudo a quei laici che, forti della loro fede, sanno di essere stati costituiti «sacerdoti, re e profeti» nella Chiesa e nel mondo. Ne intravedo la luce e so che, se impareremo a lavorare insieme, tanta speranza si trasformerà in scelte pastorali e stili ecclesiali apportatori di una Chiesa non presuntuosamente nuova ma umilmente rinnovata, non soltanto diversa ma effettivamente convertita.

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