Avvenire di Calabria

La riflessione di don Antonino Pangallo

La croce vita e mistero

Oggi la Chiesa fa memoria della morte dei Cristo

Redazione Web

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Come racchiudere il grande mistero dell’amore crocifisso che il venerdì santo offre ancora una volta alla nostra contemplazione? Desideriamo tutti innalzare lo sguardo verso colui che appeso al legno attira tutti a sé. Ho ritrovato molto nutrimento spirituale dalla meditazione di un inno vespertino della liturgia delle ore, pregato nella settimana santa e nella festa dell’esaltazione della croce. «Ecco il vessillo della croce». La croce non è tanto un segno di appartenenza, ma il ricordo continuo dell’amore donato. È il vessillo che tutti ci attira e ci spinge. È l’albero di vita del nuovo giardino.

Papa Francesco richiama la necessità di un’autentica ecologia umana. Guardando il legno della croce troviamo il nuovo albero di vita il cui frutto è la carità. Entriamo nel paradiso della carità. Vorrei fermare l’attenzione su tre immagini simboliche cariche di significato contenute nella terza strofa dell’inno: «O albero fecondo e glorioso, ornato d’un manto regale, talamo, trono ed altare al corpo di Cristo Signore». Guardando la croce tutta la rivelazione si compie. Talamo, trono ed altare sono tre immagini che richiamano la rivelazione dell’amore Dio. Talamo: invitati alle nozze. La croce è il letto nuziale delle nozze tra Dio e l’intera umanità, è il luogo dove giunge all’estremo l’amore dello sposo, cantato dal salmo 45 e la sposa, totalmente liberata dall’infedeltà, è pronta per le nozze.

Se Osea ed Ezechiele avevano descritto il dramma dell’infedeltà all’alleanza, ora la fedeltà e la totalità delle energie affettive sono allo spasimo. Dio è amore e solo sulla croce appare del tutto evidente, pur nel buio che si fece su tutta la terra. Il dono del vino nuovo di Cana si compie nel sangue versato, coppa di salvezza. Ecco perché l’Apocalisse vede scendere dal cielo la nuova Gerusalemme, «pronta come una sposa per il suo sposo» (Ap 21,2). Paolo scrive agli Efesini «Come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata». Contemplando il crocifisso ciascuno di noi partecipa alle nozze divine. Pur con il cuore colmo di compassione, il canto della gratitudine si leva: «Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente». Trono: il regno del servizio. Tutti vangeli raccontano la parodia durante la passione: Gesù viene deriso sulla sua pretesa regalità. Lui che aveva racchiuso nell’immagine del “regno” tutta la missione di salvezza tanto da invitare alla conversione dal momento che con lui il regno di Dio è vicino; da invitare a pregare «venga il tuo regno» nella preghiera del Padre nostro; da raccontare con parabole la realtà dell’azione salvifica di Dio, ora, dopo essere stato acclamato al suo ingresso in Gerusalemme come il figlio di Davide, viene deriso. Rivestito di una porpora e con una corona di spine sul capo viene schernito. Una scritta in tre lingue in capo alla croce dichiara la sua regalità. È Pilato che l’ha fatta scrivere, certamente turbato dal dialogo incalzante con il prigioniero di Galilea. A colui che rappresenta il potere di Roma, con estrema calma Gesù dichiara «il mio regno non è di questo mondo». Si, sulla croce noi riconosciamo il nostro “Signore”, e a lui offriamo tutta la nostra esistenza, chiedendo la grazia di essere discepoli di questo regno, vincendo la tentazione di imporci e scegliendo la via della lavanda dei piedi. Altare, Agnello e tempio nuovo.

Ciò che spinse i discepoli del Battista a seguire Gesù è il capire che Gesù è «l’agnello di Dio». Leggendo la lettera agli Ebrei si coglie in Gesù il nuovo tempio, il sacerdote perfetto, la vittima stessa. Ormai non c’è più bisogno di sacrifici ma la croce ha permeato di amore divino ogni religiosità umana. L’agnello della cena pasquale e la vittima dell’espiazione trovano compimento nell’offerta d’amore del Figlio. A lui non verrà spezzato alcun osso: «Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua». L’autore del testo di Ebrei sublimemente conclude: «Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà.

Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre». (Eb 10, 8–10) Sulla croce si compie l’antico culto. L’evangelista Matteo annota: «Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo» (Mt 27,51). Il crocifisso apre al santo dei santi. Ormai ogni credente può avere accesso al cuore di Dio. Gesù è il nuovo tempio, è il sacerdote perfetto, l’offerta definitiva. Per questo possiamo dire: «Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo».

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