Avvenire di Calabria

Commozione, gioia, gratitudine: sono le emozioni vissute l’11 febbraio, durante la Giornata del Malato al Gom

La dottoressa del 118 reggino: «Così la fede ci ha aiutato durante la pandemia»

Un pezzo di umanità vera che non ha esitato a rivelare sentimenti e limiti propri di chi lotta con la malattia

di Dominella Martino *

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La dottoressa del 118 reggino: «Così la fede ci ha aiutato durante la pandemia». Commozione, gioia, gratitudine: sono le emozioni che hanno accompagnato le testimonianze di quanti, l’11 febbraio scorso, durante la celebrazione per la Giornata del Malato al Grande Ospedale Metropolitano, presieduta dall’arcivescovo Fortunato Morrone e concelebrata dal cappellano, don Stefano Iacopino con don Domenico De Biasi, hanno potuto palesare la propria esperienza umana e spirituale maturata in questi due anni di pandemia.

Un pezzo di umanità vera che non ha esitato a rivelare sentimenti e limiti propri di chi lotta con la malattia: il coordinatore del reparto pneumologia covid, un paziente covid ormai guarito, dopo essere stato ricoverato per lungo tempo, il marito di una paziente che invece non ce l’ha fatta a vincere la sua battaglia contro il virus, un medico di medicina d’urgenza e pronto soccorso, la coordinatrice del reparto pediatria, una volontaria ospedaliera e un’insegnante della scuola ospedaliera. Infine, tra quelle che, nella lotta al virus e non solo, sono sempre in prima linea, la coordinatrice del Servizio di emergenza urgenza cittadino 118.  

La dottoressa del 118 reggino: «Così la fede ci ha aiutato durante la pandemia»

Noi, già dal nome si comprende, siamo gli “uomini dell’azione istantanea”, siamo coloro che per salvare una vita sono sempre in viaggio, a bordo di ambulanze che sono piccoli ospedali con ruote e sempre pronti ad aiutare gli altri nei primi attimi dell’evento sanitario. Siamo abituati all’ignoto, al non sapere cosa ci attenda durante il nostro lavoro e quindi, fin da subito abbiamo affrontato questa nuova misteriosa emergenza infettiva derivante da un virus sconosciuto, con gesti, mente e soprattutto col cuore, in strada, nelle abitazioni e nelle case di riposo; Un servizio, una missione rivolta a tutti: uomini, donne, bambini e soprattutto gli anziani, i più soli, spaventati e isolati dal mondo.


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Tutti noi ricordiamo il 27 marzo 2020, la sera in cui tutto il mondo si è fermato a pregare: credenti di qualsiasi fede e non credenti hanno fissato i loro sguardi su una piazza San Pietro insolitamente deserta e piovosa. Papa Francesco in diretta mondiale era da solo, avvolto dalla notte romana e la pioggia ininterrotta ma, il suono delle sirene delle ambulanze era nitido. Noi, soccorritori italiani, eravamo lì… anche lì. Quasi a dire tutto il mondo che si è fermato, spaventato e terrorizzato in attesa di risposte: “Noi ci siamo! Siamo qui e dovunque nel territorio italiano con le nostre ambulanze, con le nostre automediche, vincendo le nostre più intime paure del male misterioso. Ci siamo e stiamo facendo tutto il possibile per salvare vite umane. Mettendoci cuore ed anima e gesti… mettendoci tutti noi stessi”.  

Di questo periodo difficile di pandemia ci rimane una grande esperienza umana. Siamo noi che siamo entrati nelle case di anziani soli che ci hanno chiesto di preparare le loro valigie per poter andare in ospedale. Siamo noi che abbiamo visto e accompagnato gli ultimi attimi di vite solitarie che sfuggivano via; scaldato mani e cuori di sposi che non si sarebbero più rivisti e asciugato lacrime di bimbi che non avrebbero più riabbracciato i loro genitori o i loro nonni. Siamo noi che, chiudendo il portellone delle nostre ambulanze precludevamo, nostro malgrado, l’ultimo sguardo tra malati e familiari.

Siamo noi che abbiamo fatto coraggio e prestato le prime cure ai pazienti dentro le ambulanze mentre fuori dai Pronto Soccorso aspettavamo che si liberasse qualche posto letto nei reparti. Siamo noi che sotto le nostre divise molto colorate, abbiamo pianto davanti a tutti senza tuttavia farci notare, portando dentro i nostri cuori tutto il buio dell’amarezza di non aver potuto fare di più… Siamo noi che stanchi e affranti ci donavamo sostegno l’un l’altro, perché il prossimo paziente da soccorrere ci stava già attendendo…

In questi anni abbiamo conosciuto volti, soccorso e curato migliaia di persone, non necessariamente affette da Covid 19. Per noi esistono pazienti che hanno bisogno del nostro aiuto e delle nostre cure immediate. Hanno bisogno di noi e noi ci siamo!


PER APPROFONDIRE: Camici bianchi, la Giornata nazionale del personale sanitario


In questi anni difficili per la nostra professione non abbiamo smesso mai di sperare e infondere speranza negli altri perché consapevoli che tutti noi operatori sanitari siamo custodi del bene che manifestiamo nella nostra missione al di là delle circostanze che quotidianamente ci mettono alla prova.

Non ci facciamo prendere dalla disperazione, dallo scoraggiamento, anche davanti a scene strazianti perché Dio è una continua novità, luce e sorpresa che ci dona speranza. Speranza che dà slancio, spinge verso il futuro, ci proietta nel domani, con un pizzico di quell’ottimismo che vede un mondo nuovo, migliore… Nonostante le fragilità e paure di uomini, donne, di gente comune prima che gente in divisa, diventa importante rialzarsi sempre e comunque.  

L’emergenza per definizione è tale perché ha un inizio e repentina arriva la fine, sia nel bene che nel male. E la nostra speranza è questa: prima o poi con l’aiuto del Signore, qualsiasi emergenza terminerà. In questa Giornata Mondiale del Malato chiedo a nome di tutti i soccorritori di Reggio Calabria a Gesù Cristo, che per primo ha sacrificato sé stesso per l’umanità, attraverso l’intercessione di Maria, Madre sua e Madre nostra, che conceda a tutti noi uomini dell’emergenza e sanitari in genere, attraverso professionalità, abnegazione e generosità, di essere sempre, durante i nostri interventi di soccorso ai cittadini, testimoni della misericordia e dell’amore generoso del Padre


* Coordinatrice 118 di Reggio Calabria

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