Avvenire di Calabria

Il responsabile dell’équipe diocesana per il catecumenato: «Oggi chi non crede si trova davanti a una fede cristiana, che rischia di apparire fredda e spenta, soprattutto in Occidente, ha bisogno di fatti che scaldino il cuore per incontrare Cristo»

La sfida della testimonianza, credibili perché caritatevoli

Una riflessione sul Catecumenato condivisa con padre Gabriele Bentoglio

Antonia Cogliandro

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L’ apparizione di Gesù ai discepoli verso Emmaus come icona del cammino di fede nelle strade della vita, dove incontrare il Risorto. È il brano del Vangelo di Luca (Lc 24, 13–35) che padre Gabriele Bentoglio, missionario scalabriniano, da pochi mesi a Reggio Calabria come responsabile dell’equipe diocesana per il catecumenato, sceglie per raccontare l’esperienza di fede dei quattro giovani che hanno ricevuto i sacramenti durante la veglia pasquale nella cattedrale di Reggio Calabria. Un incontro che riscalda il cuore, che rinvigorisce i discepoli nell’entusiasmo attraverso la comunione e che li rende missionari, facendoli immediatamente tornare indietro ad annunciare con gioia la novità della Resurrezione. Un incontro che si rivela, per i giovani catecumeni, una presenza che cambia la vita, che imprime ad essa un nuovo inizio: la Scrittura e l’Eucaristia sono, anche per loro i due momenti di un percorso nel quale il dono della fede si svela nell’ascolto, nel desiderio, nello stupore. Anche per loro, sottolinea padre Gabriele, «la fede non è un traguardo, ma una tappa nel cammino della vita, e comincia adesso il vero impegno, con consapevolezza e responsabilità, alla sequela di Cristo».

«Un catecumeno oggi – precisa padre Gabriele – si trova davanti a una fede cristiana, soprattutto nel mondo occidentale, che rischia di apparire piuttosto fredda, spenta. Ha bisogno di una testimonianza che riscaldi il cuore. Da dove partire? Dalla testimonianza della carità, sulla quale il cristiano ha una marcia in più, perché scopre nell’altro il volto di Cristo. È la grande sfida lanciata dai profeti della Chiesa del nostro tempo, primo fra tutti papa Francesco, che continuamente indica l’attenzione all’altro come stile di vita del cristiano, verso una visione integrale della persona umana e verso una chiesa aperta all’accoglienza, una chiesa sulla soglia, che abbatte muri e allarga sguardi, una sfida che spesso i battezzati non sentono così pressante. In questo senso, dinanzi alle facili certezze, alla tranquillità di tutto quello che il mondo di oggi considera facilmente raggiungibile, mi piace pensare ai catecumeni come al pizzico di lievito in una massa di pasta, la comunità, che da essi si sente interpellata».

La fede, continua padre Gabriele, «talvolta è un incontro, come per Paolo sulla via di Damasco, che dà una svolta decisiva alla vita, ma nella maggior parte dei casi è un pellegrinaggio, dove si conosce la meta ma si sa anche che ci vuole molta strada per arrivare, ed è un cammino fatto di cadute, di inversioni di marcia, dello scegliere la strada sbagliata. Non è un dono immediato, ma un frutto maturo: è il tempo che si dedica a rendere importante quello che facciamo. Trovare tempo da dedicare all’ascolto, al silenzio, alla preghiera, In un mondo in cui il tempo è riempito da troppe cose, è aprire canali di comunicazione in cui Dio può entrare. Egli si serve di avvenimenti, persone, libri, di un tramite attraverso il quale piano piano possiamo imparare a cogliere la sua presenza».

Padre Gabriele è arrivato a Reggio Calabria con un ricco bagaglio di esperienze, maturate negli anni trascorsi prima in Inghiterra, poi in Italia come direttore dell’Ufficio Migrantes di Brescia e, nell’ambito della pastorale della mobilità umana, come sottosegretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti.

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