Avvenire di Calabria

Il quartiere-ghetto è sempre meno isolato grazie all'attenzione di tante associazioni

La sfida di Arghillà dove sta nascendo la luce dell’integrazione

Paolo Cicciù *

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«Non c’è posto per voi», l’esperienza di uno spogliatoio che “sa” di mangiatoia. Perché Arghillà Nord non è poi così differente da Betlemme. Stanotte, nel silenzio di una mangiatoia, un Dio, il nostro Dio, nascerà nuovamente per portare la luce in un popolo spesso ostaggio delle tenebre. Le tenebre della morte, del peccato, delle sofferenze e delle cecità dell’uomo. Nascerà la Luce, nascerà nuovamente quella speranza chiamata semplicemente: Amore. Esiste, anche qui da noi, una piccola Betlemme. Uno spazio dimenticato, angusto, buio, affollato e troppo spesso chiacchierato dalla gente. Un posto dove è difficile immaginare la luce, dove è difficile pensare che le stelle possano illuminare gli spazi e le fatiche della gente. Qui, in questa Betlemme del reggino, ho incontrato in questi mesi tanti ragazzi e bambini. Anche loro sono nati nel silenzio di una mangiatoia. Anche loro, tra le fatiche e le povertà della loro terra e delle loro famiglie, non hanno trovato posto tra le locande. Tutto al completo si sente! I palazzoni e i sottoscala di Arghillà come le strade impolverate e le stalle di Betlemme. Quella notte di duemila anni fa, sembra assomigliare alle nottate qui ad Arghillà Nord. I sogni e le speranze di tanti bambini e ragazzini rubati sul nascere: «Non c’è posto per voi», ecco cosa si sente tra le strade. Provo a rivivere quella notte, provo ad ascoltare lo stupore dei pastori. Si sono fidati e hanno cambiato il loro percorso. Hanno scelto una strada nuova, fidandosi. Hanno deciso di farsi guidare dalla luce. Noi pastori di questa povera terra, siamo capaci di farci guidare dalla luce di scelte nuove e controcorrente? Nel nostro piccolo, alcuni educatori della strada, abbiamo scelto, attraverso un pallone, un borsone e tante gioia di dare spazio e tempo al grido di tanti bambini.
L’attesa, la denuncia, le buone intenzioni (sulla carta) si sono trasformati in fatica, sudore, allenamento, incontro, gruppo, squadra, sorrisi. E se la salvezza passasse anche da un pallone? In questi mesi a stretto contatto con i ragazzi di Arghillà Nord, ho conosciuto storie di fatiche e sofferenza. Davvero non si finisce mai di imparare dai ragazzi, dalle loro fragilità, dalle loro paure. Ho ascoltato, all’interno di uno spogliatoio, su di un campo di calcio, il grido dei ragazzi spesso ostaggio delle paure e delle scelte dei grandi. Famiglie costrette a rimettere nelle mani dei ragazzini, appena tredicenni, le sorti economiche della famiglia. Ragazzi costretti a spacciare o rubare. «Mister oggi non posso venire alla partita. Perché rispondo io. Stasera devo aiutare mio padre». Tra le parole del mio portiere, balbettante, un grido di paura e sofferenza per delle scelte e dei gesti da grandi. Mancava un posto, un letto, dove far nascere il Salvatore duemila anni fa. Anche oggi, in questo villaggio, manca il coraggio del prendersi cura. Manca “il posto” dove accogliere il sorriso dei ragazzi. Noi ci stiamo provando e, a volte, con fatica stiamo cercando di dare calore e luce alle giornate dei nostri “piccoli campioni”. Un pallone e una divisa, forse, non risolveranno nulla ma, nella nostra piccola mangiatoia, nel nostro piccolo campetto e spogliatoio, proviamo a coccolare far risplendere la bellezza di piccoli “Gesù Bambino” di Arghillà Nord. Un progetto che si sta trasformando, allenamento dopo allenamento, in un dovere etico a cui ci richiama la nostra coscienza.
Alla fine, il Salvatore, è venuto a dare luce al nostro cuore e portare speranza nei luoghi più fragili del mondo. Buon Natale piccola Betlemme.

* Presidente Csi Reggio Calabria

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