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Attraverso il ricordo e l'impegno della famiglia, la figura di Peppino Impastato continua a essere un simbolo della lotta alla mafia. In occasione della Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie, Luisa Impastato, sua nipote, ripercorre il suo lascito, il ruolo della società civile e l'importanza dell'impegno delle donne nella costruzione di un futuro libero dalla criminalità organizzata.
Peppino Impastato è un simbolo della lotta contro la mafia, non solo per il suo coraggio e le sue denunce pubbliche, ma anche per l’eredità di impegno civile che ha lasciato alle generazioni successive. In questa intervista esclusiva, pubblicata sull'ultimo numero di Avvenire di Calabria, ripercorriamo il ricordo di Peppino attraverso gli occhi di sua nipote, Luisa Impastato, con cui abbiamo discusso il cambiamento della mafia, le politiche necessarie per contrastarla e il ruolo fondamentale delle donne nella lotta contro la criminalità organizzata.
Io non ho conosciuto direttamente Peppino, sono nata nove anni dopo il suo assassinio; i ricordi che ho di lui mi sono stati trasmessi da chi c’era, in modo particolare da mia nonna, che invece ho avuto la fortuna di conoscere perché è scomparsa quando avevo 17 anni. Grazie a lei l’ho sentito comunque familiare, vicino, presente, proprio perché lei, dopo il suo assassino, ha veramente dedicato la sua vita a raccontarne la storia e a vivificarne la memoria.
Grazie all’impegno di chi dopo di lui ha continuato a difenderne la memoria, a dare continuità al suo percorso, ai suoi ideali, alle sue lotte, l’antimafia sociale ha dato vita a tante realtà, associazioni, movimenti che a quel tipo di antimafia si sono ispirati. Un’antimafia che parte dal basso, dalla partecipazione, dalla mobilitazione, dalla riflessione anche, che è diversa da un tipo di antimafia istituzionale, ma è quella fatta dalla costruzione di comunità, dalle persone. Credo che oggi siano ancora tante le esperienze che si ispirino a Peppino e che declinino nei loro territori anche le sue idee, le sue lotte.
Sicuramente è cambiata la percezione della mafia negli ultimi anni, ma negli ultimi decenni è cambiata anche la mafia, si è adattata ai cambiamenti, anche in seguito a quello che è stato, secondo me, un risveglio della società civile in seguito al clamore delle stragi e a quella che poi è stata la risposta da parte dello Stato. È cambiata perché non è più percepibile e visibile come in tempi in cui si sparava per le strade quotidianamente, in cui la violenza era più manifesta.
Oggi la mafia è meno percepita, ma continua a essere un potere criminale forte. È un problema il fatto che a volte ci sia questa illusione di calma, perché la mafia non viene considerata un’urgenza, non viene considerata una priorità neanche nelle agende di governo, come se fosse un problema marginale. E questo probabilmente da alcuni punti di vista l’ha resa anche più forte.
Bisognerebbe cominciare a diffondere e a costruire una cultura dell’antimafia che parta dai più piccoli, che possa aiutare a costruire veramente una società civile sana con degli anticorpi che non permettano alla mafia di trovare terreno fertile. La storia a cui ho l’onore di appartenere, che è quella di Peppino e che continuo a portare avanti attraverso Casa Memoria, si fonda sui valori della giustizia sociale, dell’uguaglianza, della difesa e della tutela dei diritti.
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Io penso che impegnarsi anche a salvaguardare questi valori o salvaguardare anche i diritti fondamentali come il diritto al lavoro, il diritto ad una vita dignitosa e l’uguaglianza possano essere sicuramente delle pratiche utili a interrompere poi la fascinazione della mafia nei confronti soprattutto delle vulnerabilità sociali ed economiche.
Nel mio caso le donne hanno giocato un ruolo determinante, a partire dall’esempio di resistenza di mia nonna Felicia, che ha dato un contributo decisivo dopo la morte di Peppino a riscattarne la vita e a portare avanti il suo impegno. Penso anche all’eredità dell’Associazione delle donne siciliane contro la mafia, nate a Palermo in anni caldissimi, negli anni Ottanta. Donne come Anna Puglisi, che ha fondato il Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato insieme al marito, portando avanti un percorso di lotta contro la mafia attraverso pratiche non violente.
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