Dalla Calabria all’Africa: «L’impresa come missione»
Intervista a un giovane imprenditore originario di Taurianova che ha scommesso sul bene comune. Fra missione e testimonianza, il sogno di Kevin Pratticò è realtà da oltre dieci anni.
di Guido Leone - L’obiettivo fondamentale è chiaro e non è soltanto della scuola, ma è sociale e politico: il diritto dell’infanzia a vivere e crescere, ad avere gli alfabeti della conoscenza e della vita. Questo credo che sia un problema non solo di Reggio, ma di altre città e del Paese intero. Questo è il punto critico fondamentale. E ancora una volta, attraverso il tema dell’educazione, si svela fino in fondo il valore della dignità umana. Cosa è in gioco nella riflessione che stiamo facendo se non il valore della persona e della sua libertà? Di cosa stiamo parlando se non dei vincoli e delle schiavitù che limitano fin dai primissimi anni la libertà della crescita? Se la scuola assume la dimensione culturale dell’educazione diventa oggi un forte punto di riferimento. Ritengo che per la scuola si debba parlare non di emergenza, ma di investimento positivo di lungo periodo, che si debba lavorare per abbattere le barriere di silenzio e di paura, che bisogna dare il segnale che una educazione alla relazione interpersonale e alla sessualità è una dimensione positiva e naturale nell’investimento educativo, quindi con carattere propositivo e non soltanto difensivo, che si debba investire sugli adulti, quindi formare le famiglie, ma che occorre lavorare con i progetti integrati sul territorio. C’è una percentuale del 25% di ragazzi che ogni giorno mandano altrettanti messaggi relativi a disagio e alle proprie sofferenze. Sono gli allievi invisibili, allievi la cui condizione di difficoltà e di malessere non è percepita o è percepita in modo inadeguato o distorto dagli insegnanti; di minori oggetto di violenze, trascuratezze, strumentalizzazioni. I minori invisibili non sono quelli che gli insegnanti non possono in alcun modo vedere, ma quelli che in genere non sono visti. Ciò che risulta invisibile in questi allievi è dunque la radice del loro disagio che sta nelle relazioni familiari o nelle relazioni interpersonali in ambito sociale o scolastico (bullismo– gruppo dei pari) che li condizionano, ostacolando l’apprendimento, alterando la socializzazione, bloccando la crescita. Gli allievi invisibili diventano spesso dei bambini desaparecidos, bambini scomparsi prima dalla mente degli insegnanti, poi dal mondo della scuola e dalle istituzioni educative. Vogliamo togliere il terreno di coltura? Puntiamo su una Città educativa, un contesto urbano severamente controllato e testimonianza del lecito e del consentito praticato. Una città è educativa se è viva, vissuta e vivibile. Il problema allora è politico nel senso etimologico del termine: polis, politikòs che ha nel suo seme il “tutto ciò che appartiene al cittadino nell’alveo dei suoi diritti e dei suoi doveri”. Se un quartiere è degradato, genera degrado e il degrado genera disagio e il disagio genera inappartenenza. E ciò che non è di nessuno fa sì che qualcuno se ne appropri come spazio della violenza, dove tutto è permesso ai violenti contro i deboli. Puntiamo su una città che chiarisca definitivamente a se stessa come possano convivere – nella patologia sociale diffusa – l’intolleranza e il permissivismo; esasperati contro, possibilisti quando conviene. Ecco, allora, il ruolo della scuola e il compito della famiglia, il ruolo della Chiesa e delle altre Istituzioni obbligate a fornire servizi per il mondo dei fanciulli degli adolescenti e dei giovani, e di noi tutti adulti:parlare intanto un unico linguaggio, quello pedagogico, dare ai giovani il coraggio e la consapevolezza della loro dignità di persona, il saper inculcare il coraggio dell’altruismo e la voglia del positivo, il creare il convincimento che nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso. La Chiesa italiana, in particolare, ha voluto dedicare il decennio 2010 – 2020 a quella che, negli Orientamenti pastorali Educare alla Vita buona del Vangelo, i vescovi hanno definito «l’arte delicata e sublime dell’educazione». La condizione giovanile sollecita l’urgenza di dedicarsi alla formazione delle nuove generazioni e ovviamente interroga e sollecita l’intera comunità cristiana. E mentre coniughiamo i due termini educazione e prevenzione il pensiero va da subito a Don Bosco e agli oratori. Di educazione c’è bisogno, l’educazione ha bisogno di tempo e di attenzione. Anche l’oratorio è un luogo di incontro per tutti che può aiutare la crescita dei ragazzi. Ecco, ricominciamo anche da qui.
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