Avvenire di Calabria

Veglia di preghiera al Santuario della Madonna di Porto Salvo

Melito P.S., Morosini: «Omertà, tubercolosi del vivere sociale»

Tanta gente comune per darsi coraggio in una difficile ricostruzione etica

Federico Minniti

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Una comunità che riflette, prega e abbraccia. A poche ore dalla festa patronale diocesana, Melito Porto Salva cerca Consolazione dopo essersi bruscamente risvegliata dal torpore in cui era piombata. Un sonno profondo che le ha fatto tenere gli occhi chiusi durante tre anni in cui un branco, vestito da clan, ha tormentato la giovane infanzia di un bimba di tredici anni costretta ad essere oggetto sessuale di 9 ragazzi poco più che ventenni. Un caso che ha conosciuto le cronache nazionali e che ha sfregiato una cittadina da sempre oppressa dalla cappa mafiosa. Ed il clan Iamonte ha firmato l'ultimo efferato crimine con la compartecipazione del rampollo di famiglia, Giovanni, figlio del boss Remingo detenuto. Un quadro ricostruito da carabinieri che non immunizza le parti positive del paese grecanico chiamate ad una risposta di coraggio. «Non siamo tutti mafiosi», ci risponde la gente, con poca voglia di parlare davanti ad una penna ed un taccuino o un microfono. Si sentono «violentati», dai fatti e dai commenti, compatendo le ferite della giovane, loro la gente di Melito che conosce lei ed i suoi aguzzini da quando sono nati. Le uniformi degli scout sono accanto alle divise di carabinieri, poliziotti e finanzieri. «Nel nostro paese la fiammella della speranza - spiega Giuseppe Meduri, il sindaco di Melito - non è spenta, ma va alimentata con un gioco di squadra». C'è bisogno di spazi aggregativi sani e di prese di posizione. Come quella richiesta (e ottenuta) del Comune di Melito Porto Salvo di costituirsi come parte civile nel processo ai carnefici della giovane vittima. Un segnale di attenzione non solo giuridica, ma educativa come ha richiamato mons. Giuseppe Fiorini Morosini, che ha fortemente voluto questo momento di preghiera nel cuore dell'Area Grecanica. «L'omertà è la tubercolosi del vivere sociale - ha detto chiaramente il presule - perché come la malattia prosciuga la vitalità della società, fa prevalere il male sul bene, perché ci fa girare dall'altra parte per non vedere, dimenticando che ogni parola non detta è connivenza». Un appello accolto dalle istituzioni ed associazioni che hanno partecipato alla veglia di preghiera. Tante le famiglie, i nonni, i ragazzi. «Mettiamoci accanto ai nostri figli per ascoltarli - ha sottolineato padre Giuseppe - soprattutto chi ha avuto il dono della maternità: tornate a leggere negli animi dei vostri piccoli. Individuare prima ancora che vi parlino la tempesta che hanno dentro di loro». Cinque le riflessioni del vescovo sul tema della ricostruzione: sul rapporto fede e vita, sulla voglia di legalità, sulla capacità di denunciare, sul ruolo educativo della famiglia e della società, sull'educazione sessuale. Tanta la commozione in un Santuario gremito, dove un silenzio attonito è stato delle volte interrotto dal pianto dei fedeli, commossi per la passione che una tredicenne ha dovuto sobbarcarsi sulle proprie spalle, troppo fragili per reggere un peso così imponente, fatto di omertà e violenza. Melito, però, non è questo. Lo sa la gente, lo sa l'arcivescovo di Reggio Calabria - Bova, Morosini, che ritorna in quella piazza in cui il Sinodo dei giovani diocesano affrontò il tema della cittadinanza: «A chi è stata affidata l'educazione sessuale?- ha concluso - Alla piazza o ad internet? Torniamo a spiegare che la sessualità è il più grande dono di amore fra due sposo, neghiamo all'idea che sessualità è divertimento». Il cielo è plumbeo su Melito Porto Salvo, la "ribellione" è silenziosa, è il tempo della coscienza. Ma - da domani - c'è bisogno di creatività educativa e valori saldi per una cittadina ferita.

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