Avvenire di Calabria

Il segretario della Cei intervista da OltreNews, periodico dell'associazione Piccola Opera

Monsignor Galantino: «L’integrazione non esiste senza cultura»

Redazione Web

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di Lucia Lipari - Oltrenews festeggia il suo ventesimo compleanno. Tante voci hanno arricchito il periodico dell’Associazione Piccola Opera Papa Giovanni di Reggio Calabria; in questa occasione ha intervistato il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino.

Papa Francesco per l’Anno Giubilare della Misericordia ha affermato: “Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge”. La misericordia infatti va al di là, ce ne spiega l'essenza?

Credo che nella risposta a questa domanda stia la chiave di lettura fondamentale del Pontificato di Bergoglio. Il nostro intero progetto di vita, come cristiani, è proprio la misericordia, e cioè avere il cuore orientato verso il misero, cercando di capire dove il mondo di oggi ha bisogno di questo ‘eccesso di amore’ (lo stesso che Dio per primo ha verso di noi). Le scelte di un credente vanno fatte così, perché un giorno senza misericordia è un giorno perduto, fuori dal libro della vita. Noi cristiani non possiamo sentirci “la combriccola dei salvati”; siamo semplicemente gente in cammino verso la salvezza. Ma guai a contare solo sulle proprie forze: solo gli arroganti e gli spiriti sazi sono convinti di non avere bisognodi uno sguardo di misericordia. Inoltre, per poter compiere questo itinerario devo pregare: se non prego non vado da nessuna parte.

La reciprocità (dal lat. recus indietro e procus avanti) è ciò che torna. Sorridiamo a chi ci sorride, come in uno specchio. Quanto è difficile dare senza ricevere?

Vincere questa scommessa è forse la sfida più impegnativa che abbiamo innanzi, ma anche la più importante. Come Papa Francesco ha più volte ricordato, per costruire una cultura dell’incontro, del rispetto, della comprensione e del perdono reciproco, è fondamentale la formazione: una formazione che non è solo trasmissione di conoscenze, ma passaggio di una testimonianza vissuta, che presuppone lo stabilirsi di una comunione di vita, di una ‘alleanza’ con le giovani generazioni, aperta alla verità. Oggi i nazionalismi e i localismi sono una minaccia per tutti. L’antidoto necessario alla diffidenza e alla paura, nonché alle regressioni difensive che esse ingenerano, rimane l’educazione al rispetto dell’altro, il richiamo inesausto alla dignità assoluta di ogni persona umana. È il lavoro culturale che mira a costruire ponti, capaci di superare gli abissi dell’esclusione, della xenofobia e della violenza. Su questa prospettiva di impegno, si possono realizzare forme di dialogo e di incontro anche fra credenti e non credenti feconde per il bene comune. L’essenziale, mi sembra, resta il coraggio di fare il primo passo senza pretendere un ritorno immediato.

L’Europa non può ritardare ancora la realizzazione di un sistema che assicuri aiuto ai migranti: cosa significa accogliere?

Accogliere e integrare è il binomio necessario per affrontare le questioni legate all’immigrazione, il muro contro muro non serve: non possiamo rassegnarci ad assecondare le barricate! Dobbiamo evitare ulteriori motivi di scontro, tanto a livello delle grandi istituzioni europee come nei piccoli centri che non vogliono farsi carico di qualche decina di disperati. Purtroppo c’è un’ignoranza colpevole sull’immigrazione, una non disponibilità a capire fino in fondo le motivazioni che spingono queste persone a lasciare le loro nazioni, che noi occidentali abbiamo depredato: l’accoglienza, per la nostra Europa post-coloniale, deve avere anche il sapore di una restituzione. In ultima analisi: l’accoglienza e l’integrazione non si inventano se non c’è una cultura, una disponibilità di fondo a lavorare sulla formazione e l’informazione.

L’emergenza profughi, la lenta agonia di Aleppo, Mosul, i muri alzati in Europa, tutto ciò mentre Il Papa ci esorta a costruire ponti... cosa si può fare nell'immediatezza?

Siamo stati noi, con le nostre politiche predatorie, a provocare le condizioni di crisi in cui oggi versano molti dei paesi appena menzionati. Altre volte l’ho fatto presente, attirandomi le critiche di qualche benpensante che mi ha chiesto dove avessi studiato la storia. Mi pare, invece, che siano proprio loro a non tener conto dei danni provocati dalla colonizzazione occidentale. Noi dobbiamo impedire che il Mediterraneo continui ad essere "cimitero dei migranti", come lo ha definito Papa Francesco, in perfetta continuità con molti altri Pontefici prima di lui. Di fronte a noi abbiamo un unico orizzonte, con tre strade imprescindibili da percorrere: lavorare, attraverso la cooperazione internazionale, per risolvere le ragioni economiche e politiche che determinano le partenze e creando situazioni positive nei luoghi di provenienza; trovare il modo di convivere con chi è già arrivato o sta arrivando; avere il coraggio di creare un sistema mondiale ed europeo di corridoi umanitari.

Il libro bianco sul dialogo interculturale siglato dal Consiglio d'Europa ci richiama al pluralismo, alla bellezza della diversità. Qual è l'impegno della Chiesa in tal senso?

L’attuale clima culturale è più propenso a livellare le differenze che ad armonizzarle, a globalizzare piuttosto che a comporre. La logica del confronto, tanto rivendicata negli slogan della politica e dei talk-show, si riduce spesso a un semplice rimescolamento delle prospettive, a un appiattimento di voci e differenze. Tutto sembra liquefarsi in un brodo di equivalenze, tanto che si diffonde la convinzione che non si possa neppure dire cosa significhi essere uomo o donna. Ebbene, proprio laddove la contemporaneità sembra sfuggire a un impegno di sintesi, la fede cristiana deve gettarsi nella mischia, spendendosi per una globalità non livellante, superando le barriere dell’ideologia e cercando di incontrare quelle ‘periferie’ dell’umano che proprio una certa modernità ha messo al bando, investendo tempo e risorse non alla cieca, ma con il preciso intento di ricomporre in armonia, senza schiacciarle, tutte le differenze.

Lei ha parlato spesso di un umanesimo "negato", come si può ridare centralità alle persone, ai loro sogni?

Muovo dalla consapevolezza che la verità dell’uomo e l’umanesimo cristiano riproducono la forma dell’esistenza di Cristo, intesa essenzialmente come un ‘esserci-per-gli-altri’, cioè come essere-in relazione gratuita e responsabile. Sta qui il fondamento dell’umanesimo cristiano che veniamo invitati a vivere: un umanesimo prismatico, dove solo dall’insieme dei volti concreti, di bambini e di anziani, di persone serene o sofferenti, di cittadini italiani e d’immigrati venuti da lontano, emerge la bellezza del volto di Gesù. Tra le scelte concrete necessarie per ridare centralità alle persone e non negare più questo umanesimo, occorre partire dall’ascolto del vissuto, con la capacità di riconoscere tutti i bisogni, anche quelli meno manifesti e di immaginare azioni di risposta adeguate. Questo significa non solo dare un tetto e del pane a chi non ce l’ha, ma anche coltivare e salvaguardare gelosamente l’interiorità e la dimensione trascendente di ogni uomo, affacciandoci rispettosamente sull’alterità dell’altro uomo, e su quella di Dio.

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