Avvenire di Calabria

Oltre al delicatissimo ruolo da vicesindaco, il docente universitario sarà impegnato in un suo vecchio (ma mai sopito) pallino: l'Area metropolitana dello Stretto

Perna: «Autocritica sincera dal sindaco, è il tempo di cambiare»

Federico Minniti

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È stato il «nome di rottura». Tonino Perna sarà il braccio destro di Giuseppe Falcomatà. Lo abbiamo intervistato.

Che Tonino Perna dobbiamo aspettarci negli abiti da vicesindaco?
Quello di sempre. Cosa vuole che cambi a quest’età? Devo confessare che mi preoccupa il grande entusiasmo con cui una parte della città ha accolto la mia nomina. Mi carica di una pesante responsabilità.

In estate, sembrava in procinto di candidarsi come leader del “polo civico”. Oggi siede al fianco di Falcomatà. Cos’è cambiato?
Lo dico subito: se avessi voluto candidarmi a sindaco lo avrei fatto a gennaio e non in agosto. Non c’era in questa fase della mia vita questo obiettivo. Già a luglio il sindaco Falcomatà mi aveva chiesto di entrare in giunta, ma avevo declinato l’invito. Poi sono arrivate le elezioni e se la destra non avesse candidato un rappresentante della Lega non mi sarei impegnato pubblicamente a favore del sindaco uscente. Poi ci sono stati gli incontri pubblici durante le due settimane che hanno preceduto il ballottaggio. Ed è stato in questa fase che ho scoperto con piacere che il Falcomatà bis non era uno slogan di carattere elettorale. Ho visto una sincera autocritica e la volontà di svoltare. Quando mi ha chiesto con determinazione che aveva bisogno del mio apporto come segno di discontinuità, allora, malgrado tutte le perplessità, ho accettato.

Quando era assessore a Messina, il suo sindaco Accorinti criticò Falcomatà sulle politiche dello Stretto. Oggi, lei ha proprio quella delega...
Le ricordo che il 18 aprile del 2015 promossi l’incontro dei sindaci dell’area dello Stretto su una bellissima nave della Bluferries per stringere una alleanza strategica nel campo del trasporto, cultura, servizi, ecc. Accorinti e Falcomatà s’incontrarono e si abbracciarono. È stata una manifestazione esaltante a cui hanno partecipato centinaia di cittadini delle due sponde, artisti e rappresentanti delle associazioni culturali e ambientaliste, oltre ad una ventina di sindaci. Purtroppo, non c’è stato un seguito. Adesso, ripartiamo e non ci arrendiamo. Abbiamo alcuni obiettivi immediati che riguardano il trasporto, e di medio periodo per unire le due città metropolitane. Come? Lo decideranno i cittadini.

Reggio ha bisogno di più umanità?
Continuerò a seguire, per quello che posso, i corridoi umanitari che fanno arrivare in Italia i profughi delle guerre, a partire dalla Siria, Libia, Libano. Abbiamo a Reggio una decina di famiglie siriane che si sono inserite brillantemente in città, lavorano e sono felici. Uno di loro, un falegname, mi ha detto: «Ho realizzato il sogno della mia vita, lavorare, avere un tetto e vivere in pace». Questa è l’alternativa alla morte nel Mediterraneo di migliaia di persone che fuggono dalla fame e dalla guerra. Io, al di fuori delle mie deleghe, mi voglio occupare della più grave emorragia sociale che colpisce questa città: la fuga dei giovani.

Come?
Tutti si strappano le vesti su questo dramma che ci colpisce in modo particolare negli ultimi vent’anni. Due giovani su tre, dai 18 ai 35 anni hanno abbandonato la nostra città, molte volte senza cambiare la residenza. Prenderemo una iniziativa per dare degli assegni di ricerca in settori strategici ai giovani più bravi che escono dalle nostre Università dello Stretto o che sono emigrati e vogliono tornare. Un primo, piccolo, segno di inversione di tendenza a cui seguirà una interlocuzione col Ministro Provenzano che ha già risposto a maggio ad una mia lettera, firmata da diversi colleghi di Università di tutto il Mezzogiorno, sull’urgenza di interventi per bloccare questa emorragia.

Sul caso–Miramare, «questione morale» e «garantismo» sono due facce della stessa medaglia. Lei quale sceglie?
Se capisco bene la domanda non c’è una contraddizione tra «questione morale» e «garantismo». Mi spiego. La «questione morale», di cui parlò Berlinguer agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, riguarda la corruzione nella sfera politica. È un problema serio che colpisce tutti i paesi del mondo, ma con una discreta articolazione. C’è un livello di corruzione che può portare un paese alla rovina, come è successo in diversi paesi dell’est e del Sud del mondo. Ma, anche da noi non scherziamo come livello di corruzione e collusione con la criminalità organizzata. Allo stesso tempo, la nostra Costituzione è garantista perché parte chiaramente da una presunzione di innocenza della persona finché non arriva una condanna definitiva. Forse sono i mass media che dovrebbero evitare di condannare una persona prima di un regolare processo.

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