Avvenire di Calabria

La direttrice della Caritas di Reggio Calabria - Bova passa in esame le povertà e crede nei cattolici come corresponsabili nell'impegno a contrastarle

Non abituarsi alla povertà, serve essere corresponsabili

Ciò che va fermamente evitato è la disillusione che lo spendersi per l'altro sia inutile: tanti mani tese, invece, rappresentano spesso un'occasione fondamentale

di Maria Angela Ambrogio *

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La direttrice della Caritas di Reggio Calabria - Bova passa in esame le povertà e crede nei cattolici come corresponsabili nell'impegno a contrastarle.

Corresponsabili rispetto alle povertà

Il 19 novembre è stata la settima Giornata mondiale dei poveri dal titolo “Non distogliere lo sguardo dal povero”. Si tratta di una giornata di riflessione a cui tutta la Chiesa, non solo la Caritas, è chiamata a porre attenzione, per assumere uno stile di vita accogliente ed autentico nella quotidianità.

Abbiamo sempre più bisogno di comunità che si interrogano su quanto avviene nel mondo, che non siano narcotizzate dinnanzi alle ingiustizie e al dolore dei piccoli e dei poveri, che si chiedano sempre dove sia l’altro nella strada da percorrere.

Per condividere la sorte umana, per sostenere lo stesso passo ed entrare in relazione con l’altro, occorre avere uno sguardo attento e un linguaggio accogliente, come ribadisce papa Francesco in tutto il suo magistero e nel suo messaggio per questa giornata.

Uno sguardo attento capace di cogliere l’unicità delle persone e che veda oltre il bisogno, che ponga la persona al centro con i suoi desideri e i suoi progetti, la consideri portatrice di valori e di risorse e dunque, capace di rialzarsi sempre, perché animata dallo Spirito di Dio


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Oggi la povertà aumenta sempre di più e diminuiscono i sussidi dello Stato, anche noi cristiani, un po’ rassegnati, rischiamo di considerare il fenomeno povertà come strutturale e i poveri una categoria sociologica.

Alla povertà ci abituiamo, giustificandoci con il fatto che essa ha sempre caratterizzato la storia manifestandosi in forme diverse a seconda degli eventi. Mentre si fa più duro il linguaggio, le persone definite “carichi residuali”, trattate come scarti, affollano i nostri servizi o si chiudono in casa provando forte l’isolamento sociale.

E se spesso non possiamo direttamente contrastare la povertà, molto possiamo fare per le persone fragili, iniziando ad assumere il loro punto di vista e il loro sguardo per leggere le realtà. Solo così potremmo comprendere le situazioni ed andare incontro.

Questa prospettiva di prossimità e di condivisione ci aiuta a essere “una chiesa povera per i poveri”. Tra sguardi e parole nuove, possiamo alimentare la cultura del rispetto profondo dell’altro per costruire una comunità più giusta, dove la debolezza abbia piena cittadinanza, poiché è partendo dai diritti dei più deboli che la società diventa più umana e giusta.

Non si tratta di fare qualcosa, ma di essere e camminare insieme, con le persone che fanno più fatica, testimoniando gesti semplici e profetici. Molto probabilmente i poveri si avvicinano a noi perché diamo qualcosa: un pasto, un vestito, un aiuto materiale.


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Tuttavia non dobbiamo dimenticare che quello che noi diamo è solo uno strumento, che forse sfama per un giorno, ma le nostre risposte, devono portarci più in là; con la nostra presenza noi possiamo illuminare un luogo oscuro di solitudine.

Noi crediamo e possiamo agire il cambiamento, la povertà non è una condizione irreversibile, è lei che dobbiamo combattere mentre la vita dei poveri va custodita e coltivata fino alla pienezza.

Dobbiamo mobilitarci per creare le giuste condizioni affinché la solidarietà possa diventare cultura. Se desideriamo un mondo aperto alle diversità, inclusivo, conviviale nella logica generativa, è necessario dare vita a un processo di cura a più mani e con diversi attori, nell’ottica della co-responsabilità, capace di accompagnare e supportare le persone nei loro discontinui percorsi esistenziali, fino alla piena cittadinanza.

* Direttrice Caritas diocesana Reggio Calabria - Bova

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