La devozione alla Madonna della Consolazione e il “nuovo” santuario: un legame tra fede e storia
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Oggi è la prima domenica di Quaresima. Un cammino iniziato mercoledì delle ceneri. Scopriamo insieme a don Valerio Chiovaro il significato di questo tempo
Quaranta - giorni o anni che siano - è un numero, un tempo importante che dispiega, lungo un tragitto, la caparbietà di un cammino. Passo dopo passo, spazio dopo spazio, al ritmo della fatica e dell’entusiasmo, il popolo si muove verso un luogo che è «promessa». Lascia alle spalle qualcosa, si proietta verso altro. Lungo il cammino si riscopre ora fragile e affaticato, ora entusiasta e colmo di speranza. Lungo il cammino diventa popolo, sperimenta una sorta di perplessità collettiva, accetta di essere incerto, ed impara pertanto ad essere sicuro nelle mani di Dio.
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Il lungo tempo nel deserto (che è anche il tempo del deserto) segna il passaggio dalla certa schiavitù in Egitto alla incertezza del cammino e così alla fiducia. Tempo/spazio/cammino in una unità dinamica e inscindibile è la svolta verso un cambiamento che accetta l’insicurezza come condizione maturativa della fiducia. Perché solo nel lungo tempo si matura la fiducia, solo chi è precario capisce la fiducia, solo chi accetta di non appoggiarsi alla certezza della schiavitù lascia, cammina, «taglia i ponti » con il padrone/faraone e si fida del Padre/Dio.
È proprio un’altra storia dentro il tempo, nello spazio, lungo il cammino. Quanta concretezza, quanta pedagogia, quanta pazienza, quanto amore! Sono quaranta i giorni di Gesù nel deserto. In un deserto - quello di Giuda - fatto di alti e bassi, di valli e cime. Si sale, si scende, si inciampa, si vede lontano e si ascolta da vicino; ma anche si vede vicino e si ascolta lontano. Quaranta giorni che precedono il ministero di Gesù. Il Maestro si prepara così potenziando i suoi sensi con il digiuno e la preghiera. Perché i sensi umani hanno bisogno di essere incanalati, altrimenti rimangono istinti e si sta da bestie con le bestie.
I nostri sensi hanno bisogno di essere regolati, educati, presi sul serio, usati per la libertà e non subiti rimanendo schiavi. E questa educazione è un esercizio di carità. Anche noi abbiamo quaranta giorni. È la quaresima con le sue “azioni”: il digiuno, la preghiera, la carità. Il digiuno - quello vero - che è digiunare da sé stessi, per darsi da mangiare all’altro: questo è per l’esercizio della carità. E di quanto digiuno c’è bisogno in un mondo che ci educa a cibarci dell’altro, a mangiare l’altro consumandolo secondo i nostri bisogni. In un mondo così affamato di un amore che si cerca, senza fidarsi con coraggio e disponibilità dell’Amore che ci cerca.
La preghiera - quella vera - che è pregare Dio e non pregare gli uomini, la vita, se stessi. Imparare, così, l’amare dall’Amore. Anche questo è per l’esercizio della carità. E di quanta preghiera c’è bisogno in un mondo con tanti idoli e, tra tutti, quello più folle: l’idolo di sé stessi. La malattia dello spirito di porre sull’altro la nostra immagine, così da adorare in lui solo noi stessi. E di far dimenticare all’altro che è immagine, unica irrepetibile e meravigliosa, di un Dio che mi e lo elegge nella mia e sua unicità, ma che ci fa camminare insieme lungo l’esodo dalla schiavitù alla libertà.
PER APPROFONDIRE: Il realismo e la speranza. Il messaggio di Morrone per la Quaresima
Digiuno da e per… preghiera a e per… e tutto questo non è forse la caparbietà del cammino per la Carità, la sicurezza dell’incedere lungo la via, quella - a dirla con San Paolo - migliore di tutte?
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