Avvenire di Calabria

Bullismo razziale, fenomeno ancor oggi tristemente presente. Chi pensa ai bambini che vengono emarginati ed esclusi?

Quei ragazzi destinati a incassare colpi

Leggi l'editoriale di Antonio Marziale, sociologo e giornalista, già Garante per i diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza

di Antonio Marziale *

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Bullismo razziale, fenomeno ancor oggi tristemente presente. Chi pensa ai bambini che vengono emarginati ed esclusi? Leggi l'editoriale di Antonio Marziale, sociologo e giornalista, già Garante per i diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza.

Quei ragazzi destinati a incassare colpi

Nessuno al mondo, men che meno i bambini, dovrebbe subire bullismo ed esclusione a causa della propria razza o etnia, ma nonostante l’era della globalizzazione, ciò continua ad accadere. Il razzismo assume molte forme e ha luogo ad ogni latitudine del mondo, attraverso pregiudizi, discriminazione e finanche odio nei confronti di qualcuno a cagione della sua razza, fede, etnia e origine nazionale.


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Parliamo di “razzismo sociale” quando è radicato nelle azioni delle persone e “razzismo sistemico” quando sono i poteri istituzionali ad adottare regole e leggi proiettate ad alimentare discriminazioni nella giustizia, nel lavoro, nell’assistenza sanitaria e nell’istruzione.

Nel 1999 il Rapporto MacPherson ha individuato il “bullismo razzista” definendolo come «qualsiasi incidente percepito come razzista dalla vittima o da qualsiasi altra persona», dove per incidente sono da intendersi gli abusi, le minacce fisiche, le forme di propaganda e l’incitamento di altre persone ad uniformarsi ad un pensiero esclusivo e non già inclusivo.

Il quadro che ci si presenta all’attenzione è da definirsi profondamente preoccupante, perché dalla comparazione di più statistiche internazionali curate direttamente da enti governativi risulta che migliaia di bambini musulmani, ebrei, cristiani, neri e sikh, chiamano i numeri telefonici di emergenza dei loro paesi per denunciare violenze psicologiche o fisiche subite a causa della loro “diversità”.

Se pensassimo che la crescita culturale delle giovani generazioni abbia determinato un calo del fenomeno commetteremmo un gravissimo errore, perché in realtà negli ultimi 10 anni i numeri denunciati su scala mondiale si sono triplicati.


PER APPROFONDIRE: 8 marzo. Il “tweet” del Papa per mamme e bimbi in fuga dalle guerre


E proprio sul fronte della denuncia troviamo un possibile primo passo verso il drenaggio di un crimine – tali sono bullismo e razzismo – attingendo al racconto di un genitore che ha scritto all’Osservatorio sui Diritti dei Minori dicendosi indignato per il modo in cui la scuola “non” ha gestito reiterati episodi di bullismo razziale nei confronti del proprio figlio: «Per settimane, mio figlio adolescente è stato maltrattato da un compagno di scuola. Il dirigente scolastico ha detto che se ne sarebbe subito interessato, ma in realtà il compagno ha continuato ed a lui si sono aggiunti altri compagni di classe. Soltanto dopo aver denunciato ai carabinieri le cose sono cambiate».

Bullizzare, anche per razzismo, una persona, un soggetto in età evolutiva, è un reato, dunque denunciare è un dovere per chiunque. Affidiamo la chiusura della presente riflessione alle parole Ben Jellun, che in Hospitalité française del 1984, ha definito génération involontaire quella «destinata ad incassare colpi. Questi giovani non sono immigrati nella società, lo sono nella vita. Essi sono lì senza averlo voluto, senza aver nulla deciso e devono adattarsi alla situazione in cui i genitori sono logorati dal lavoro e dall’esilio, così come devono strappare i giorni a un avvenire indefinito, obbligati ad inventarselo invece che viverlo».


* sociologo

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