Avvenire di Calabria

Il 3 maggio 1982 in pieno centro cittadino alle 8:20 del mattino veniva ucciso in un attentato l'imprenditore salernitano

Reggio Calabria ricorda Gennaro Musella e le vittime delle mafie

Presso il Santuario di San Paolo alla Rotonda sarà celebrata alle 19 una messa. Al mattino l'incontro con i giovani per mantenere viva la memoria e il ricordo

di Redazione Web

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Quando si parla di stragi di mafia, il pensiero va subito alla Sicilia, ma dalla memoria storica non si cancella il 3 maggio del 1982. In quella data Reggio Calabria fu colpita al cuore. In pieno centro cittadino, alle 8:20 del mattino, un’autobomba disintegrò il corpo e la vita di un uomo: Gennaro Musella, ingegnere salernitano, che aveva trasferito in Calabria la sua azienda.

42 anni dopo la riflessione su bene e male

Quel giorno di maggio, la città fu svegliata da un gran boato. La forte deflagrazione fece tremare la terra e si pensò ad un terremoto. Sul luogo dell’attentato, tanti studenti che a quell’ora si recavano a scuola. Non si può dimenticare la barbarie.


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Ricordare e trasmettere memoria è un dovere cui la società civile non può sottrarsi nel riscatto dal cancro mafioso. A 42 anni di distanza da quel giorno, la figlia Adriana insieme alla Fondazione “Caponnetto”, ricorderanno quel momento drammatico, condividendo quel ricordo con i giovani, «perché sia netta la distinzione tra il bene e il male e non muoia la speranza di costruire un mondo migliore».

L'auto dell'imprenditore Musella subito dopo l'attentato

Lo faranno domani, 3 maggio, nel giorno dell’anniversario dell’attentato in cui perse la vita Musella. In serata, alle 19, sarà celebrata una santa messa presso il Santuario di San Paolo alla Rotonda.  Un momento di preghiera e raccoglimento in ricordo dell’imprenditore salernitano, ma anche di tutte le altre vittime innocenti di ‘ndrangheta e mafie che sarà preceduto dall’incontro ospitato presso l’auditorium dello stesso Santuario reggino alle ore 10. Saranno coinvolti, in particolare, gli studenti delle scuole della città.

A parlare coi ragazzi ci saranno Michele Di Stefano, Cosimo Sframeli e Antonio Marziale, garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza.

42 anni dopo l'attentato, Adriana Musella ricorda il padre Gennaro

Era una splendida e calda giornata di sole quel 3 maggio del 1982. Gennaro Musella, alle 8,20, scese come al solito di casa, solo per un fortuito caso, senza la compagnia del caro nipotino Saverio che ogni mattina era solito accompagnare a scuola.

Qualche giorno dopo, ricorda oggi la figlia Adriana, «avremmo dovuto felicemente festeggiare il suo compleanno, ma non avevamo fatto i conti con il destino crudele. Pochi metri, l’apertura della portiera, la messa in moto, il boato assordante».

La città tremò come scossa da un terremoto: «mio padre veniva disintegrato da una potentissima carica di tritolo posizionata sotto il sedile di guida. Il buio pesto, livide fiamme di fuoco, l’auto si accartocciò su se stessa, volando in aria per poi tornare al suolo, mentre l’urlo straziante della gente in strada si alzava in cielo, come grido lacerante di dolore».

«Sull’asfalto - è ancora il ricordo di Andriana - si formò una voragine che ancora oggi ,quando piove molto, riaffiora. Una colonna di fumo nero, fitto, saliva verso il cielo, circondando gli edifici ,mentre del corpo dilaniato e sventrato dell’uomo, non esisteva più nulla. I suoi occhi spalancati sembravano essere quasi increduli. Di lui rimase solo un tronco monco; il cervello spappolato fu trovato appiccicato sul muro di un edificio della via antistante, una mano raccolta sull’asfalto. Per uno strano scherzo del destino,un’agenda,rimasta a terra macchiata di sangue, unica superstite nella totale devastazione, indicava la data dell’8 maggio 1982, per la nuova gara d’ appalto del porto di Bagnara Calabra».

L'imprenditore Gennaro Musella

«Moriva così mio padre, Gennaro Musella, moriva in una terra non sua ma che aveva imparato ad amare e di cui s’era innamorato, sognando di creare una seconda Positano in terra di Calabria. Ma il suo sogno fu disintegrato con lui e il suo sorriso spento. Dopo appena due giorni, avrebbe compiuto 57 anni».


PER APPROFONDIRE: Vittime di mafia, la denuncia di Stefania: «La gente non sta dalla nostra parte»


«In un attimo di follia, la distruzione di un corpo, di una vita, di una famiglia che non è’ mai stata più’ la stessa è che da ieri ad oggi non ha smesso mai di pagare le conseguenze di quella tragedia che ci ha timbrato a fuoco la vita è che ci portiamo dentro. Ancora oggi non riesco a spiegarmi il perché di tanta barbarie e ancora oggi non riesco a non essere emotivamente coinvolta nel ricordo», ancora la testimonianza della figlia.

«Mio padre non era un eroe ma una persona semplice e buona che ha pagato a caro prezzo la sua ribellione alla prepotenza e alla sopraffazione mafiosa ,nel difendere dignità e libertà. In quella strada, quel giorno, insieme a lui è morta parte di me. Oggi, nessuno può più uccidermi...è già accaduto».

«Ho trascorso la mia vita nella testimonianza quotidiana al fine di trasmetterne memoria e ricordarlo alle coscienze della gente. Non so se ci sono riuscita ma certamente so di aver fatto tutto quello che potevo bene o male, poco o molto ,ma assolvendo al mio dovere di figlia …Quando ad essere ucciso è un personaggio delle Istituzioni, le Istituzioni stesse lo ricordano ma ,se a cadere sono cittadini comuni, i palazzi restano molto lontani e si rischia di ucciderli due volte nella dimenticanza e nella negazione di verità e giustizia. Ecco che allora nasce per i familiari l’esigenza di mettersi in gioco e il dolore si fa forza e strumento indispensabile di riscatto», ancora Adriana Musella.


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Le vittime di mafia, conclude Musella, «non gridano vendetta ma esigono e meritano giustizia, orfani di un futuro loro rubato con la sopraffazione. Nell’antica Roma, per i condannati per fatti gravissimi, v’era la ”damnatio memoriae“, l’oblio forzato, l’eliminazione d’ogni traccia che potesse mantenerne il ricordo».

«La lotta della memoria contro l’oblio rappresenta il riscatto dalla barbarie per non rendere vane tante morti ingiuste e dare un senso a ciò’ che senso non ha il ricordo di alcuni uomini e la loro orrenda fine va trasmesso perché’ possa trasformarsi in patrimonio comune.
A loro è stata riservata la parte più difficile, quella di morire, a noi resta un compito molto più’ agevole ,diffonderne e tutelarne la memoria per non renderne vano il sacrificio, ma trasformarlo in opportunità nella costruzione di una coscienza civile».

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