Avvenire di Calabria

Il direttore della Caritas diocesana, don Antonino Pangallo, ritorna a parlare della tentazione pelagiana

Ripartire da Firenze: «La dottrina cristiana è viva»

Antonino Pangallo

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Riprendo la riflessione sulla tentazione pelagiana. Un sottile vento ci spinge oggi verso il desiderio di un ritorno nostalgico all’ancien regime di cristianità e alla perdita dello sguardo positivo verso il mondo proprio della Gaudium et spes. I segnali sono tanti: il ritorno all’uso della controversia apologetica, la riesumazione di categorie da militanza, l’aggressività nell’argomentazione, la tendenza ad elaborare compendi. Benedetto XVI, parlando della rinuncia al pontificato, ha detto che «alcuni miei amici un po’ “fanatici”, sono ancora arrabbiati».
Qualcuno dice che rischiamo di rimanere in difesa dentro castelli che sono rimasti ormai quasi deserti, lontani dalla vita della gente, ridotti a divenire burocrati e gestori di servizi. Questo vale particolarmente per le opere sociali di ispirazione cattolica, alle prese con una riforma complicata e con la preoccupazione economica fino al rischio di smarrire le motivazioni primigenie. Eppure papa Francesco è chiaro: «Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo».
Nell’ultimo articolo pubblicato su La Civiltà Cattolica nel settembre del 2019, padre Bartolomeo Sorge ha sintetizzato con le seguenti parole: «La prima tentazione è quella di riporre – ovviamente non a parole, ma nei fatti – la propria fiducia e sicurezza nelle strutture, nell’organizzazione, nella pianificazione perfetta elaborata a tavolino, finendo con legalizzare e burocratizzare la pastorale e col mortificarne ogni creatività. È la tentazione del pelagianesimo: credere che possiamo salvarci con i nostri soli sforzi».
Tutti siamo chiamati a vivere nella Chiesa oggi l’impegno per allargare gli orizzonti, ancor più in questo tempo di transizione. Il Papa conclude: «La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività».
Siamo chiamati proprio oggi a non rimanere nelle secche della palude ma a divenire esploratori, per nulla spaventati dalle frontiere e dalle tempeste: «La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e non spaventati dalle frontiere e delle tempeste. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assuma il proposito di san Paolo: “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno” (1 Cor 9,22)».
Questa è la strada tracciata ad un Chiesa che desidera vivere le sfide del presente aperta al futura che Dio sta preparando. Il Signore ci conceda la curiosità ed il coraggio degli esploratori e ci aiuti a non rimanere impantanati nelle secche.

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