
Bergamotto, il presidente del Consorzio Pizzi: «Tesoro da difendere, Reggio Calabria profuma il mondo»
Il presidente del Consorzio di Tutela del Bergamotto di Reggio Calabria, Ezio Pizzi, ripercorre i
Dalle povertà educative a una scuola pubblica che combatta le disuguaglianze fino ai possibili squilibri accentuati dall’autonomia differenziata. Mentre l'anno scolastico si avvia a conclusione, ecco le sfide che già rimandano al prossimo. In questa pagina abbiamo cercato di mettere assieme tre diverse visioni che ben sintetizzano il mondo della scuola oggi.
di Guido Leone
Mentre l‘attenzione di tutti famiglie, studenti, personale docente è giustamente concentrata sulla conclusione dell’anno scolastico tra giudizi finali ed esami, non è assolutamente presto cominciare a pensare alla ripartenza del nuovo anno scolastico. Quindi è giusto chiedersi che anno sarà per la scuola italiana, per gli studenti e le studentesse, per tutti coloro che nella scuola lavorano: docenti, personale Ata, dirigenti.
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Lo facciamo con la consapevolezza che stiamo parlando della infrastruttura sociale fondamentale per il Paese, per il suo sviluppo democratico ed economico, presente ovunque, dalla grande città ai piccoli centri. Lo facciamo perché ci interessa, perché è un patrimonio che ci appartiene e che vogliamo preservare e difendere: la scuola pubblica e perché, a fronte di due grandi emergenze, poiché ritengo che siano tali, gli effetti dell’autonomia differenziata, se approvata, e l’emergenza educativa, se non adeguatamente affrontata la porteranno allo sbando. E la scuola, come si sa, misura lo stato di salute sociale e democratico di un Paese.
La sua missione fondamentale è concorrere all’uguaglianza sostanziale concretizzata dall’articolo 3 della Costituzione, fondamento del principio di solidarietà. Significa cioè che le è affidato il compito di assicurare l’uguaglianza delle condizioni di partenza, di fare cioè in modo che tutti e tutte partano sulla stessa linea. È lo strumento più potente per combattere le disuguaglianze e nello stesso tempo per assicurare, attraverso gli strumenti della conoscenza, la libertà. È il luogo dell’inclusione perché è aperta a tutti e tutte. Perché è bene ricordare il senso e gli obiettivi della scuola pubblica? La risposta è che questo senso e questi obiettivi si sono persi o fortemente attutiti nelle scelte del decisore pubblico negli ultimi venti anni e nella stessa narrazione pubblica che si fa sulla scuola.
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Se passiamo in rassegna le scelte politiche che abbiamo alle spalle, il sistema di istruzione è stato troppo spesso oggetto di tagli e non di investimenti e gli interventi di riforma sempre subiti e non condivisi con coloro che devono farsene carico tutti i giorni: gli insegnanti e il personale della scuola tutto. Infine mi riferisco all’autonomia differenziata che, se approvata, sancirà gli squilibri che già esistono e li renderà definitivi e insuperabili.
Il gap di servizi nella scuola, e non solo nella sanità, negli asili, in tanti servizi del welfare, nelle risorse di sostegno all’apparato produttivo, etc., diventerà “legittimo”, un privilegio etnico-territoriale immodificabile. Insomma ,chi, all’interno della stessa nazione, abita in territori particolari e benestanti ha più diritti di chi invece ha avuto la ventura di abitare in territori disgraziati. La nazione diventa così matrigna per alcuni cittadini e per alcune aree che hanno la colpa di essere cresciute meno di altre.
È fondata, perciò, la preoccupazione che una deriva regionalistica del sistema di istruzione possa accentuare gli squilibri già oggi esistenti fra le diverse aree territoriali del Paese, con esiti ancor più penalizzanti per quelle economicamente e socialmente più in sofferenza come la Calabria nei suoi vari servizi alla persona. La scuola, poi, nell’ultimo decennio è stata investita da una vera e propria sovraesposizione mediatica, e, a seguito dell’imperversare della pandemia negli ultimi due anni, lo è stata ancor di più. Quindi la società, come del resto la scuola e i professionisti che vi lavorano quotidianamente, è stata costretta in un breve lasso di tempo a fare i conti con una serie di “repentini mutamenti ideologici e valoriali” e di conseguenza a “reinventarsi” per restare al passo.
La scuola è un’interessante cartina di tornasole di tutte le distonie del sistema socioculturale contemporaneo, proprio perché frequentata da migliaia di ragazzi e bambini immersi sempre più nella “liquidità sociale”, che contempla in aggiunta una certa deriva valoriale e il quotidiano bombardamento di messaggi audio/video, diretti e subliminali, che li portano sempre più spesso a scollegarsi dalla realtà, per vivere più comodamente nel confort zone del virtuale tra le quattro mura delle proprie abitazioni.
Allora tra i banchi di scuola, più che altrove, si avverte un senso di “crisi profonda”, una crisi che trae origine da lontano, innanzitutto nei valori trasmessi dalle famiglie di appartenenza, (non dimentichiamolo che il primo nucleo educativo della società è proprio la famiglia); pertanto, la scuola si ritrova spesso a supplire a quelle “mancanze” o “manchevolezze” educative essenziali e a dover creare ex novo un canale comunicativo capace di istaurare relazioni tra pari e con gli adulti di riferimento.
C’è una percentuale del 25% di ragazzi che ogni giorno mandano altrettanti messaggi relativi a disagio e alle proprie sofferenze. Sono gli allievi invisibili, allievi la cui condizione di difficoltà e di malessere non è percepita o è percepita in modo inadeguato o distorto dagli insegnanti; di minori oggetto di violenze, trascuratezze, strumentalizzazioni. I minori invisibili non sono quelli che gli insegnanti non possono in alcun modo vedere, ma quelli che in genere non sono visti. Ciò che risulta invisibile in questi allievi è dunque la radice del loro disagio che sta nelle relazioni familiari o nelle relazioni interpersonali in ambito sociale o scolastico- basta ricordare gli ultimi episodi di violenza nelle scuole tra ragazzi e tra allievi e docenti- che li condizionano, ostacolando l’apprendimento, alterando la socializzazione, bloccando la crescita.
Gli allievi invisibili diventano spesso dei bambini desaparecidos, ragazzi scomparsi prima dalla mente degli insegnanti, poi dal mondo della scuola e dalle istituzioni educative. Vogliamo togliere il terreno di coltura? Puntiamo su una Città educativa, un contesto urbano severamente controllato e testimonianza del lecito e del consentito praticato. Una città è educativa se è viva, vissuta e vivibile. Il problema allora è politico nel senso etimologico del termine: polis, politikòs che ha nel suo seme il «tutto ciò che appartiene al cittadino nell’alveo dei suoi diritti e dei suoi doveri». Se un quartiere è degradato, genera degrado e il degrado genera disagio e il disagio genera inappartenenza.
E ciò che non è di nessuno fa sì che qualcuno se ne appropri come spazio della violenza, dove tutto è permesso ai violenti contro i deboli. Ecco, allora, il ruolo della scuola e il compito della famiglia, il ruolo della Chiesa e delle altre istituzioni obbligate a fornire servizi per il mondo dei fanciulli degli adolescenti e dei giovani, e di noi tutti adulti: parlare intanto un unico linguaggio, quello pedagogico, dare ai giovani il coraggio e la consapevolezza della loro dignità di persona, il saper inculcare il coraggio dell’altruismo e la voglia del positivo, il creare il convincimento che nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.
La condizione giovanile sollecita l’urgenza di dedicarsi alla formazione delle nuove generazioni e ovviamente interroga e sollecita l’intera comunità cristiana. E mentre coniughiamo i due termini “educazione” e “prevenzione” il pensiero va da subito a Don Bosco e agli oratori. Di educazione c’è bisogno, l’educazione ha bisogno di tempo e di attenzione. Anche l’oratorio è un luogo di incontro per tutti che può aiutare la crescita dei ragazzi. Ecco, ricominciamo anche da qui.
di Francesco Chindemi
Scuole aperte anche d’estate: il piano del ministro Giuseppe Valditara serve davvero a rendere gli istituti «luoghi aperti»? Ne abbiamo parlato con Marisa Maisano, dirigente dell’Istituto comprensivo “Telesio-Montalbetti” di Reggio Calabria, da sempre sostenitrice di una scuola aperta e inclusiva, che mira a rafforzare le competenze dei ragazzi anche oltre l’aula. Come altre scuole calabresi e reggine, l’Istituto comprensivo da lei diretto avvierà percorsi estivi.
«Faremo tre laboratori di teatro, tre di impresa e tre di arte», spiega la dirigente. Pur non essendo contraria al Piano, ritiene «che dopo un anno di studio i ragazzi, e i docenti, debbano godere del meritato riposo ». «Dopo l’esperienza del Covid e la chiusura forzata, i ragazzi hanno bisogno di vivere all’aperto e di relazionarsi». Prosegue spiegando che un’idea potrebbe essere «aprire la scuola in estate attraverso convenzioni con strutture diverse, considerato anche il contesto climatico in cui viviamo».
Secondo la dirigente scolastica, la chiave del successo è cogliere l’opportunità, creando stage formativi didattici, residenziali e su base volontaria, in realtà esterne come alberghi o colonie, che potrebbero essere messe a disposizione in forma semi- gratuita. Inoltre, «sarebbe ideale ottenere finanziamenti per organizzare stage estivi all’estero, dove i ragazzi possono confrontarsi con coetanei di altri Paesi».
Maisano risponde da Atene, dove in questi giorni la sua scuola ha preso parte a un progetto Erasmus con un istituto locale. Gli studenti lavorano insieme su vari laboratori, utilizzando nuove tecnologie e sviluppando competenze linguistiche e culturali. «Abbiamo presentato la nostra città di Reggio e oggi stiamo facendo un laboratorio di ceramica», racconta. «Esperienze simili andrebbero replicate», afferma la dirigente.
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L’idea legata al Piano estate «deve essere vincente non per far impegnare del tempo ai ragazzi, ma per trarre fuori il meglio dagli studenti». «Portare l’economia aziendale e l’imprenditoria tra i banchi di scuola, come abbiamo fatto già durante l’anno scolastico, può essere una proposta, così come creare momenti di confronto e relazione». Fondamentale, conclude Maisano, è «invogliare i giovani a non chiudere i sogni nel cassetto e far loro acquisire competenze trasversali fondamentali, utili a gettare le basi per il proprio futuro e quello della comunità».
di Maria Ausilia Chiellino - presidente Fidae Calabria
Le scuole paritarie cattoliche calabresi, sostenute dalla Fidae regionale e nazionale (Federazione istituti di attività educative), rappresentano una risorsa fondamentale nel panorama educativo del nostro Paese.
In un contesto dove la pluralità dell’offerta formativa è essenziale, le nostre istituzioni si distinguono da oltre 70 anni per il loro contributo significativo alla formazione integrale degli studenti, mettendo al centro non solo l’istruzione, ma anche i valori umani oltre che cristiani, che, non dimentichiamolo, sono anche le radici della nostra Europa.
Le scuole paritarie anche in Calabria svolgono un ruolo essenziale nel garantire un’educazione di qualità accessibile a tutti, contribuendo così alla realizzazione del diritto all’istruzione sancito dalla Costituzione italiana. Come sottolineato dalla presidente nazionale della Fidae, Virginia Kaladich, queste scuole non sono solo luoghi di apprendimento, ma comunità educative che promuovono lo sviluppo completo della persona.
Si caratterizzano per un approccio educativo che unisce eccellenza accademica e formazione etica, modello che mira a formare cittadini responsabili e consapevoli, capaci di contribuire positivamente alla società e alla valorizzazione del Bene Comune.
Nonostante il loro valore, le scuole paritarie affrontano numerose sfide, soprattutto di natura economica. La sostenibilità finanziaria è un problema centrale, aggravato dalla crisi economica e dall’incremento dei costi gestionali.
Tuttavia, la Federazione Istituti di Attività educative si impegna costantemente per ottenere un maggiore sostegno da parte del governo e delle istituzioni pubbliche.
In tal senso, l’appello della Cei (Conferenza episcopale italiana) al governo per un maggiore supporto alle scuole paritarie è stato accolto con grande favore, come segno di riconoscimento del loro contributo al sistema educativo nazionale, certo però il sogno e il desiderio è che tutti gli studenti italiani, come quelli del resto dell’Europa, possano scegliere liberamente la scuola che desiderano frequentare e magari versare le tasse scolastiche in modo mirato in tal senso!
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In definitiva, le scuole paritarie pur affrontando le difficoltà sopra citate con resilienza e flessibilità rappresentano un pilastro fondamentale del sistema educativo nazionale in cui salvaguardare la pluralità. È essenziale riconoscere e sostenere il loro contributo, affinché possano continuare a svolgere il loro ruolo insostituibile nella società italiana e nella realtà calabrese per formare i futuri cittadini.
Il presidente del Consorzio di Tutela del Bergamotto di Reggio Calabria, Ezio Pizzi, ripercorre i
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