Avvenire di Calabria

Smartphone e bambini: a che età è giusto mettere i dispositivi nelle mani dei nostri figli?

Bambini e smartphone, emergenza digitale: l’opinione degli esperti

Le interviste agli psicologi e psicoterapeuti Matteo Lancini e Giusy Casile per capirne di più

di Redazione Web

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Smartphone e bambini: a che età è giusto mettere i dispositivi nelle mani dei nostri figli? Le interviste agli psicologi e psicoterapeuti Matteo Lancini e Giusy Casile per capirne di più.

Matteo Lancini analizza il rapporto tra bambini e smartphone

Minori dipendenti da Internet? Paura o realtà? Per approfondire questo tema abbiamo intervistato Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta di fama internazionale, presidente della fondazione Minotauro di Milano.

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In che modo web e smartphone influenzano e cambiano la vita degli adolescenti del nostro tempo?

La diffusione di internet e dello smartphone hanno influenzato e cambiato la vita degli adolescenti, ma non solo la loro: anche quella degli adulti. L’aspetto da sottolineare è che internet è un ambiente e si è diffuso all’interno di un altro ambiente che già aveva delle proprie caratteristiche.

La chiusura degli spazi di gioco e socializzazione ha modificato il modo di intendere anche la relazione coi figli, con l’autonomia. Quindi nel mix tra la diffusione di internet e i miti affettivi genitoriali e sociali, le esperienze di socializzazione di oggi avvengono attraverso i Social network, perché nessun bambino può socializzare fuori dal controllo degli adulti come avveniva in passato. Così come le battaglie di strada sono state sostituite dalle battaglie virtuali.


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Esiste una dipendenza dallo smartphone?

Oggi misurare la dipendenza da internet e dallo smartphone per tutti, ma in particolare riferendosi alle nuove generazioni degli adolescenti, è un’operazione molto complessa. Da diversi anni insieme al mio gruppo di lavoro proviamo a isolare le variabili per cercare di comprendere che cosa differenzia un utilizzo “fisiologico” di questo strumento da un uso disfunzionale o che segnalerebbe una dipendenza.

La comunità scientifica continua a parlare di dipendenza da smartphone e da internet. La verità è che i criteri attraverso i quali misurare la dipendenza - in particolare il tempo di utilizzo che ha sempre rappresentato un elemento significativo - oggi non hanno più lo stesso senso che in passato. Molto spesso, ahimè, vengono utilizzati test diagnostici che sono nati ai tempi del computer fisso, per misurare la dipendenza da internet o dallo smartphone.

Nelle ricerche che abbiamo fatto può capitare di incontrare adolescenti che dichiarano di essere connessi 24 ore al giorno con lo Smartphone e che in realtà fanno una vita del tutto adeguata: sono degli studenti modello, giocano anche in squadre di semiprofessionisti e magari anche studiano al conservatorio.

In che modo i genitori possono agevolare un corretto uso dello smartphone da parte dei minori?

Oggi i genitori sono ovviamente preoccupati da un utilizzo disfunzionale, non corretto degli smartphone da parte dei minori. Non dobbiamo dimenticare che la necessità di mantenersi sempre in contatto ha fatto sì che lo smartphone arrivasse nelle mani dei ragazzi sempre più precocemente.

A seguito di un cambiamento della famiglia bisognerebbe avere il coraggio di dire quello che le ricerche dicono: in Italia il più grande spacciatore di smartphone è la mamma. Ma per molti motivi comprensibili…in questo non c’è una critica, c’è solo la necessità di rendersi conto del fatto che noi abbiamo creato una società dove il mantenersi sempre in contatto, pur restando distanti col corpo, ha rappresentato un cambiamento della famiglia.


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Secondo lei che ruolo gioca la scuola nell’educazione al digitale?

Oggi educare al digitale potremmo dire che equivale educare alla vita. Anche qui dimostriamo una fragilità adulta senza precedenti: il tema è quello di continuare a pensare che l’uso consapevole del digitale avvenga facendo discorsetti ai ragazzi sui limiti d’utilizzo, mentre gli adulti ogni giorno lo usano a dismisura.

La vera emergenza nazionale riguarda i gruppi di WhatsApp dei genitori che hanno la pretesa di governare la scuola, le società sportive e ogni luogo in cui vive il proprio figlio. D’altro canto le scuole vivono il gap opposto: ci sono alcune scuole secondarie di secondo grado dove non c’è una connessione veloce.

Per alcuni è un vanto, eppure educare al digitale vuol dire fare lezione utilizzando internet: non farlo vuol dire portare avanti interventi che dissimulano il problema, ma non lo affrontano.

Cosa ne pensa del fenomeno degli hikikomori?

Il fenomeno degli hikikomori è diffuso in Italia, da almeno 15 anni, prevalentemente presso un popolo di adolescenti maschi che si «suicidano socialmente». Il ritiro sociale maschile è l’equivalente del disturbo della condotta alimentare femminile.

Quindi, così come l’anoressia ha caratterizzato la nostra società in questi anni come modalità elettiva di esprimere il disagio da parte delle ragazze, da diversi anni la modalità elettiva di esprimere il disagio da parte dei maschi è quella di ritirarsi, di sparire è un fenomeno molto complesso a cui ho dedicato anche un libro nel 2019 e che, oggi, ha sfaccettature diverse perché poi si intreccia anche con la dispersione scolastica. Paradossalmente sappiamo benissimo che internet è la difesa di questi ragazzi: la rete è un’apertura perché internet consente di mantenere in vita processi di relazione.

Smartphone e bambini, l'opinione di Giusy Casile

Minori e smartphone, un rapporto non sempre “vincente”, soprattutto dal punto di vista educativo. Ne abbiamo parlato con Giusy Casile, psicologa e psicoterapeuta. Minori e smartphone, un rapporto difficile e a volte non accompagnato nel modo giusto.

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Quali sono i rischi a cui esponiamo i ragazzi quando regaliamo loro il telefonino?

La risposta è insita nella premessa. Il primo rischio è dato dal fatto stesso che questo rapporto “minori-cellulare” non è accompagnato adeguatamente. Se pensiamo un po’ ai bambini sappiamo, dal punto di vista medico, che lo sviluppo del cervello non si limita ai primi anni di vita, quindi sicuramente l’uso del cellulare - soprattutto prolungato - espone una sorta di blocco del naturale sviluppo di abilità cognitive, sociali, sensoriali.

Crea una barriera allo sviluppo di tutte queste competenze che si ottengono con l’interazione spontanea con il proprio ambiente e sicuramente viene anche un po’ limitata quella che è la creatività e quindi, più in senso lato, quella che è la possibilità di sperimentare, manipolare ed esplorare l’ambiente intorno.


PER APPROFONDIRE: Crescere al tempo dei Social, a confronto con Stefania Garassini


In che modo la famiglia deve “custodire” l’utilizzo di questo strumento?

La famiglia è un elemento sicuramente fondamentale in ogni aspetto educativo e anche nel caso dell’ambiente digital non è da meno. Nell’educazione digitale, il primo passo per costruire un sano utilizzo è sicuramente la consapevolezza del genitore che deve avere una piena responsabilità tanto nella condivisione delle informazioni e dei rischi quanto dal mettere fin da subito delle regole che siano precise, che in qualche modo rispettino quello che è un contratto stipulato tra genitore e bambino o adolescente.

Questo deve avvenire fin dal primo utilizzo, proprio per avere dei tempi chiari e delle attività che sono concordate. E questo è possibile farlo rimanendo aperti al confronto, allo scambio e alla comunicazione. Esistono diverse applicazioni “parental control” che limitano determinati utilizzi dello smartphone: è utile rendere partecipe il figlio delle motivazioni e delle necessità per le quali vengono installate.

Si sta diffondendo la pratica della “modalità-monaco”. Alcuni ragazzi installano App per misurare il tempo di utilizzo dello smartphone. È la strada giusta?

È interessante riflettere su come siamo talmente manipolati e immersi nell’uso dello smartphone o comunque dei social che per uscire da questo diamo al cellulare stesso questo ruolo. Per chi non conoscesse questa modalità che sta spopolando si tratta proprio di un tentativo di isolarsi bloccando temporaneamente sul proprio cellulare quello che è l’accesso ai Social media, a determinati siti web e l’accesso alle notifiche.

Sicuramente è una prassi che sta spopolando perché ha dei risultati. In gergo viene chiamata “modalità monaco” perché punta a limitare quelle che sono le distrazioni. È sicuramente un modo che attenua l’utilizzo perché mette in moto un processo che è quello di consapevolezza. Alcuni genitori ricorrono allo psicologo per “curare” il rapporto con lo smartphone dei propri figli.

Quando è effettivamente necessario?

Che il rapporto genitori-figli sia spesso difficile è ormai una cosa abbastanza nota, come lo è il fatto che l’uso del telefonino è diventato un abuso. Tuttavia queste considerazioni non devono essere usate come uno strumento perché i genitori deleghino altri al compito di “aggiustare il proprio figlio” che a volte può avere dei comportamenti errati, né serve per giustificare il genitore, normalizzando delle situazioni in cui vi è già l’esistenza di un problema.

Proprio in un’ottica preventiva si possono frequentare dei corsi che informano su tematiche specifiche o partecipare anche a delle consulenze psicoeducative, cioè farsi sostenere nelle competenze genitoriali.

Secondo lei quale può essere la ricaduta sociale di una rinnovata libertà dagli smartphone?

Questa ritrovata libertà potrebbe essere davvero il bello di parlare vis a vis, il bello di ascoltare l’altro, asciugare una lacrima. È bello anche condividere un sorriso in relazioni che sono vere in emozioni, che hanno dei nomi, hanno dei volti reali e non passano dall’emoticon. Ma è bello anche scoprirsi capaci di riflettere, trovare soluzioni creative, prendersi il tempo di pensare e capire davanti a un problema come affrontarlo.

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