
Cultura e identità, la Calabria prepara la sua partecipazione al Salone del Libro
L’assessore alla Cultura ha incontrato gli editori calabresi per definire le iniziative culturali e promuovere il patrimonio letterario regionale.
Storicamente, il lavoro di cura dei figli è gravato in modo quasi esclusivo sulle madri, mentre di fatto spesso non coinvolgeva i padri. Ancora oggi, sebbene alcuni progressi siano stati fatti e vi siano segnali di miglioramento, i carichi di cura familiare restano del tutto sproporzionati tra i generi. Vediamo qual è la situazione in Italia e anche in Calabria.
In Italia la strada sembra essere ancora lunga: nel 2022 i richiedenti dei congedi parentali sono stati uomini nel 22,1% dei casi, a fronte del 77,9% delle donne. Un dato in crescita rispetto al passato recente (18,8% nel 2017), ma ancora ben lontano da una genitorialità effettivamente paritaria. Un modello che invece potrebbe avere effetti positivi sulla vita dei bambini e su quella della famiglia.
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24,9 il divario, in punti percentuali, tra la quota di donne ta i 25 e 49 anni che dedicano oltre 50 ore alla settimana alla cura dei figli (32,1%) e i coetanei uomini (7,2%). Un’impostazione penalizzante in primo luogo per le donne, che in un caso su 5 si trovano a lasciare il lavoro dopo la maternità. Tuttavia, anche i padri subiscono in qualche misura questo tipo di modello, che in molti casi li vincola a vivere una genitorialità ridotta rispetto alle madri.
A livello regionale, la spaccatura è ancora più evidente. Nessuna regione del sud infatti riporta dati minori di una del centro-nord in termini di divario occupazionale. Il valore maggiore è registrato dalla Campania (27,3 punti percentuali), seguita da Puglia (24,6), Sicilia (24,5) e Basilicata (23,4). Registrano invece divergenze minori tre regioni del nord: Piemonte (12,6), Trentino-Alto Adige (10,7) e Valle d’Aosta (9).
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È però importante notare che questi territori settentrionali vedono la presenza di numerosi piccoli comuni, in cui la situazione cambia anche ampiamente.
A livello di capoluoghi, quelli in cui il divario supera i 20 punti percentuali sono tutti nel sud del paese: Andria, Taranto, Trani, Barletta, Brindisi, Napoli, Catania, Palermo, Foggia, Siracusa, Bari, Trapani, Reggio di Calabria, Caltanissetta, Catanzaro, Messina ed Enna. Tra quelli con minori valori figurano invece sia città del nord che del sud: Ferrara (8,4), Cagliari (7,6), Nuoro (7,3), Belluno (7,08) e Siena (5,92).
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Si può notare dalla mappa che, nonostante la maggior parte dei comuni italiani riporti un’occupazione maschile superiore a quella femminile, ci sono anche dei casi di controtendenza: si tratta di 104 comuni sui 7.903 registrati nel 2021. Questi si trovano principalmente nell’arco alpino piemontese e hanno una dimensione della fascia demografica presa in esame molto ridotta.
Nei paesi dove i padri fanno maggior uso del congedo parentale, è maggiore la loro presenza non solo nel percorso di crescita del bambino ma anche nei carichi di cura familiare, con conseguenze positive per lo sviluppo del minore e in termini di parità nella vita familiare. A ciò si aggiunga che i paesi con congedi più lunghi riservati ai padri tendono ad avere una quota maggiore di bambini sotto i tre anni nei centri per l’infanzia.
A supporto di una genitorialità maggiormente paritaria, si possono annoverare un insieme di politiche e strumenti diversi. Un primo presidio fondamentale è rappresentato dai servizi per la prima infanzia: abbiamo avuto modo di approfondire come nelle aree del paese in cui è più presente l’offerta di asili nido, anche l’occupazione femminile risulti maggiore. Per questo motivo l’estensione di questi servizi è cruciale, sia in termini di aumento dei posti disponibili che di riduzione dei costi per le famiglie.
Sono inoltre previsti dall’ordinamento nazionale italiano dei congedi parentali per permettere ai neogenitori di potersi occupare del bambino, a partire dalle prime fasi della sua vita. Negli ultimi anni, su questo fronte vi sono state numerose modifiche per estenderne l’accesso. Anche sulla scorta delle politiche europee che indicano come fondamentale raggiungere la parità a livello lavorativo. La direttiva 2010/18 definisce che entrambi i genitori possono usufruire di un periodo minimo di quattro mesi, di cui uno attribuito in forma non trasferibile. A livello italiano, il decreto legislativo 105/2022 ha confermato il congedo di paternità obbligatorio come strutturale.
Con la legge di bilancio per il 2024, il legislatore è intervenuto nuovamente sull’insieme di strumenti per la conciliazione, anche rispetto alle modifiche già apportate dalla legge di bilancio dell’anno precedente. Nell’anno in corso i nuovi genitori potranno infatti godere dell’incremento dell’indennità di congedo parentale all’80% per uno dei 9 mesi che risultano indennizzabili. Solo per il 2024 è possibile usufruire dell’indennità all’80% per un secondo mese, altrimenti calcolata al 60%. Dal 2025 però questa si ridurrà al 60% mentre per gli altri viene mantenuta al 30%. L’accesso a questo strumento può avvenire fino ai 12 anni di età del bambino o della bambina.
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Nonostante l’importanza che questo strumento ricopre alla luce dei divari lavorativi, viene ancora principalmente richiesto dalle donne. Basti pensare che nel 2021 il 79,1% della platea di beneficiari del congedo tra i lavoratori dipendenti era donna, mentre il restante 20,9% era uomo. Nel 2022, questa quota è tornata a crescere al 22,1%. Nonostante l’incremento negli anni dell’incidenza degli uomini, risulta quindi ancora uno strumento utilizzato principalmente dalle donne. Un aspetto che evidenzia ulteriormente come all’interno dei nuclei familiari la gestione delle attività di cura sia ancora lontana da un equilibrio paritario.
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