Avvenire di Calabria

La storia che oggi vi raccontiamo affonda le sue radici agli inizi del '600 e riguarda l'odissea vissuta dai francescani a Reggio Calabria

L’odissea dei francescani a Reggio Calabria: un tuffo nella storia

di Renato Laganà

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La storia che oggi vi raccontiamo affonda le sue radici agli inizi del '600 e riguarda l'odissea vissuta dai francescani a Reggio Calabria. Dal 1617 al 1929, il racconto di rovine e ricostruzioni che hanno coinvolto il convento dei francescani, la parrocchia del Crocefisso, l’arcivescovo D’Afflitto e un barone omicida.

Francescani a Reggio Calabria, leggi la ricostruzione storica

Nell’anno 1617 i Minori Riformati costruirono il loro Convento in Reggio, dedicato a Santa Maria della Sanità, nella contrada Donna Dinisa sita quasi al termine del percorso delle Sbarre Centrali in prossimità del guado del Sant’Agata. Esso corrisponde al luogo dove oggi è situato il Convento con la chiesa di San Francesco d’Assisi.


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Trenta anni dopo, nel 1647, i Minori Riformati costruivano un altro convento, poco distante dalle mura della città, per ospitare l’infermeria di monaci e pellegrini. Nella chiesa si venerava un grande crocifisso ligneo, opera di fra Giovanni da Reggio. Da questa presenza derivò il nome che fu in seguito dato al convento ed alla chiesa che sorgeva al margine della collina del Palombaro (il pianoro che circondava il castello) sopraelevata all’antico percorso vallivo della fiumara del Calopinace, che era stato deviato nel 1547 per consentire la costruzione del Castelnuovo alla marina.

A sostenere la costruzione del convento fu la famiglia Francoperta che, come ricorda monsignor De Lorenzo, beneficiarono a più riprese la chiesa, «il cui stemma vedevasi fino a pochi anni dietro sulla chiave del grande arco del Sancta Sanctorum, e fu passato poi di bianco». Nella storia civile del territorio reggino il convento resta coinvolto a margine della strage perpetrata da Bernardino Abenavoli, barone di Montebello.


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Costui, assalito il castello di Pentedattilo, trucidò il marchese Lorenzo Alberti e la sua famiglia portando con sé la figlia Antonia che costrinse a sposarlo nella chiesa di Montebello. Sfuggito alla distruzione del suo castello, ordinata dal viceré spagnolo, si introdusse nel convento del Crocifisso, da dove, travestito da frate riuscì a fuggire verso Malta.

Padre Francesco Russo, nella sua Storia dell’Archidiocesi di Reggio Calabria (1963) citando quanto accaduto si domandava «come hanno potuto i Francescani del Crocifisso di Reggio – col pretesto del diritto di asilo – accogliere, travestire da frate e poi aiutare a mettersi in salvo l’inumano ed esecrato criminale?».

Nella storia religiosa di Reggio la chiesa del Crocefisso e il convento diventarono, con il trascorrere degli anni, la meta del percorso quaresimale della Via Crucis che partiva dall’antica Cattedrale, usciva dalla porta di San Filippo per poi risalire lungo la tortuosa via del Crocefisso.

Al tempo dell’arcivescovo Damiano Polou (1727 – 1756), che «per favorire la pietà dei fedeli introdusse il pio esercizio della Via Crucis», si ricordano percorsi processionali con l’intervento, oltre all’arcivescovo, del Capitolo, del Clero, dei seminaristi e del popolo che lo seguivano. La processione aveva termine nella piazza antistante il convento e la chiesa che sul lato settentrionale era di forma circolare per favorire i riti all’aperto.

Le dimensioni del convento erano di metri 25 per 32 (sulla piazza), con un chiostro centrale di metri 10 per 10. La chiesa, annessa al convento, aveva una forma molto allungata con abside verso sud e misurava metri 10 per 40.

Il terremoto del 5 febbraio 1783 squassò il convento che tuttavia resistette ed i 13 frati che lo abitavano restarono illesi. Abbandonato dai frati, a seguito del Breve Pontificio del 13 aprile 1784 di Pio VI (istituzione della Cassa Sacra), che in parte confluirono nel Convento della Sanità, attuate le necessarie riparazioni la struttura edilizia restò disponibile per ospitare dapprima (1808) l’ospedale di Santa Margherita e, successivamente la Gendarmeria che ne occupò una parte.

Nella chiesa del Crocefisso nel 1785, venne trasferita la sede della parrocchia di San Sebastiano che, dai tempi di Annibale D’Afflitto, dopo la distruzione ad opera dei Turchi della originaria chiesetta (sita nei pressi della piazza del Toccogrande), era stata ospitata in una cappella della Cattedrale.


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Nel 1836, l’ala del convento non occupata dalla Gendarmeria, venne destinata a sede dell’Ospizio delle Orfanelle affidato poi, nel 1849 alle Suore di Carità di San Vincenzo che lo tennero sino all’ottobre 1863 quando, dopo l’unità d’Italia, venne laicizzato e successivamente affidato e gestito dalla Congregazione di Carità.

Dopo un’accurata gestione, dovuta anche ai lasciti della famiglia Maropati, sul finire dell’Ottocento, l’ospizio accusò segni di abbandono che causarono nel 1903 la parziale chiusura degli ambienti dichiarati malsani.

Le devastanti scosse del terremoto del 28 dicembre 1908 fecero crollare la struttura che accoglieva l’Orfanotrofio causando ben 18 vittime tra le orfanelle e la morte di due suore, la superiora suor Cristina e suor Giuseppina.

Le superstiti furono alloggiate nei baraccamenti del rione Borrace. Con Decreto Luogotenenziale del 19 luglio 1915 l’Ospizio delle Orfanelle venne aggregato al Conservatorio delle Verginelle.

Il ridisegno urbanistico della città e il programma della ricostruzione delle opere pie trasferirono in altra area la sede dell’Orfanotrofio.

Nel 1935 l’area con i ruderi dell’antico convento venne venduta all’Arcivescovo, mons. Carmelo Pujia, per la costruzione della sede parrocchiale della chiesa di San Sebastiano al Crocefisso il cui impianto planimetrico venne adattato alla nuova geometria degli isolati del piano regolatore di De Nava.

Il progetto della nuova chiesa era stato redatto nell’agosto 1928 ed approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il 27 aprile 1929.

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