Avvenire di Calabria

Lettera aperta del padre gesuita ad un mese dal tragico gesto della studentessa

Suicidio Maria Rita, padre Ladiana: «Non può essere "archiviato"»

Giovanni Ladiana

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È passato oltre un mese dalla morte di Maria Rita Lo Giudice. Nessuno, sinora, sa perché s’è suicidata, perciò non voglio entrare nelle gioco delle dietrologie, né delle interpretazioni. Ma mi ribello nel costatare che, come in altre occasioni, anche questa tragedia dopo qualche giorno è stata archiviata. Io neanche stavolta ci riesco.
Ho continuato a rifletterci e a pregare, prima di scrivere queste note, e penso che sarebbe stato necessario darci tempi lunghi e calmi per parlarne: soprattutto chi l’ha fatto nell’immediato non poteva che dire cose che pensava da prima, e dunque ha usato questo dramma per affermare ideologie pregresse.
Ritengo che ogni suicidio chiama tutti a sentirne il contraccolpo nella Coscienza e a verificare come fare nostro il dramma di Maria Rita e come stare vicini ai giovani che si trovano nelle sue condizioni, per trasformare questo fatto in occasione di crescita per tutta la società civile. Senza lasciar passare anche questo dramma in un rapido dimenticatoio. Ritengo Maria Rita l’ennesima vittima innocente che la prepotenza ‘ndranghetista genera contro Reggio e in particolare contro i sogni di futuro dei più giovani. Solo pochi giorni prima era stata a Francoforte e Bruxelles con colleghi d’università e alcuni professori e ha manifestato e condiviso con loro il sogno di lasciare Reggio, avendo intravisto uno sbocco bello e possibile al suo impegno nello studio; per cui è del tutto inverosimile che – tornata nella sua realtà – abbia potuto chiudersi nella disperazione, che è alla base di ogni suicidio. Che portasse con disagio il suo cognome non era frutto di pregiudizi delle persone a lei vicine – colleghi e amici –; anzi lo manifestava ai suoi vicini con cui aveva confidenza; ed è plausibile. E proprio questo ce la mostra vittima innocente del sistema ‘ndranghetista.
Ma che questo disagio sia diventato in pochi giorni disperazione – dopo aver intravisto un futuro possibile al suo impegno nello studio – non è assolutamente credibile. In assenza di ipotesi investigative (e dei risultati dell’autopsia), l’unica possibilità di comprendere la fonte della sua disperazione credo possano dirla solo le persone che, dopo quel viaggio, le sono state vicine.
In ogni caso, tutta la società civile che abbiamo scelto d’opporci alla prepotenza ‘ndranghetista, e che vogliamo farci carico del futuro dei giovani di Reggio, dobbiamo far nostra la sua morte, per impedire che diventi un fatto privato e per dire a tutti i giovani la nostra vicinanza. E in particolare per ridire – come in altre occasioni – ai giovani che appartengono a famiglie di ‘ndrangheta che possono trovarci vicini in un loro desiderio di riscatto.
Come movimento ReggioNonTace stiamo organizzando un momento di riflessione comune, a partire dalla morte di Maria Rita, perché non vogliamo archiviarla e desideriamo che, da questo seme entrato nella terra, possano nascere frutti di futuro per tutti. Ma ho voluto rendere pubbliche queste mie note, prima di partire da Reggio, come ennesimo atto d’Amore verso questa “mia” città, con la speranza che possano risuonare nella Coscienza di tutti coloro che ce l’abbiamo a cuore.

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