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Più che la storia (comunque forte) è la scrittura potente che s’impone in “Terra Santissima” (Laruffa editore, pagine 148, euro 16) nuovo romanzo di Giusy Staropoli Calafati, candidato alla settantaseiesima edizione del premio Strega.
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L’eclettica scrittrice di Briatico, che miscela sapientemente letteratura e società, in uno stile narrativo tra il romantico e impetuoso, originale e personale, con a volte in alcune pagine l’uso efficace del dialetto, lingua sempre utile quando bisogna rompere gli schemi linguistici tradizionali, esprime, nel raccontare, tutta la forza della sua femminilità mediterranea. È una specie di “brigantessa civile” Staropoli Calafati: sprigiona (letterariamente) l’energia di un vulcano in eruzione, di mare in tempesta.
La narrativa, come questa di “Terra Santissima”, solitamente si etichetta come letteratura meridionale, in quanto totalmente assorbita da una realtà regionale, locale, singolare e anomala, ma, al contrario, è letteratura nazionale che colma quell’esplorazione della condition humaine dei margini, che la narrativa italiana non è mai riuscita o non ha voluto portare a termine.
I temi del romanzo (non l’architettura) sono quelli che la scrittrice ha assorbito negli anni studiando senza sosta (come nelle preghiere continuative dei monaci di clausura) i più grandi narratori calabresi: Alvaro, Strati, Seminara, Perri, La Cava.
La partenza, l’emigrazione, la mafia, il dramma di un popolo nobile e fiero, murato vivo nella solitudine dello sfruttamento coloniale, dei pregiudizi, dell’ignoranza, sono sullo sfondo di una storia romantica e potente, che comincia col ritorno nell’Aspromonte padre/madre di una giovane giornalista, figlia di emigrati calabresi, che vive a Milano e ha una missione da compiere: deve sbattere, come le chiede il suo direttore, i segreti della ndrangheta aspromontana sulle pagine del quotidiano per cui lavora.
Un classico del format dei media nazionali, da quando la questione meridionale è stata trasformata in questione criminale, e la più grande e più bella montagna del Mediterraneo passa, esclusivamente, per covo di banditi, latitanti, mafiosi. Ben presto, però, il racconto lievita, si trasforma, articolandosi in vari ambiti e livelli, e l’inviata Simona Giunta si trova a dissotterrare un tesoro nella terra della mafia: le leggende arcane e mariane dell’Aspromonte, i profumi inconfondibili della terra della bellezza e del mito, il mare tra due terre e tra due fari, dove se ne stanno sommerse le anime inquiete di Scilla e Cariddi. Era partita con una missione precisa la giornalista, ma poi si è trovata in una condizione meno professionale e più dettata dal cuore, dove la prima cosa da fare - intuisce - è riprendersi ciò che aveva lasciato bambina, quand’era partita per la Lombardia.
La narrazione si fonde, a mano a mano, in un unico racconto espressivo che contiene vari filoni del romanzo italiano e meridionale: antropologico, psicologico, lirico, noir. Che poi, questa miscela, non è altro che il ritratto della Calabria, eternamente contrapposta tra Inferno e Paradiso, tra male e bene, bellezza e orrore. Simona si perde nel planetario misterioso aspromontano, incontra l’amore, si muove sotto lo sguardo materno della Madonna della Montagna, ma apprende pure i segreti della ndrangheta, male assoluto.
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Come finisce "Terra Santissima" è giusto apprenderlo leggendo il libro che pone un antico dilemma per i calabresi che sono partiti: restare, nell’ordinata, pacifica, magari comoda posizione nelle città del nord, dove si è approdati, o tornare alla tragica, antica, complessità della terra d’origine. È anche libro di protesta “Terra Santissima”, contro quell’Inferno visto da fuori, da chi guarda alla Calabria con pregiudizio e si affida agli stereotipi. Giusy Staropoli Calafati è scrittrice che cresce con questo romanzo. Ma è anche, come donna mediterranea, se così si può definire, sulle orme delle donne che si sono ribellate in ogni modo e hanno lottato per la libertà delle loro terra.
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