Gemellaggio tra il Circolo Velico e il Club Nauticque Hammamet
Un mare che unisce i popoli e permette lo scambio di esperienze marinare, di cultura,
Don Stefano Iacopino, cappellano del Grande ospedale metropolitano (Gom) di Reggio Calabria, da 17 anni porta il suo ministero tra le corsie ospedaliere. In questo luogo di sofferenza e speranza, la sua presenza diventa segno di vicinanza e supporto per pazienti, familiari e operatori sanitari. Attraverso il suo racconto, don Stefano ci accompagna a scoprire il significato profondo del servizio pastorale in ospedale e l’importanza di essere uniti nel dono.
Non è facile spiegare con semplici parole quello che si prova a vivere quotidianamente la missione tra le “Corsie” di un Ospedale. Sono trascorsi 17 anni da quando sono arrivato come Cappellano del G.O.M. Ricordo benissimo quel mio primo giorno di servizio, primo Reparto visitato la Terapia Intensiva e Rianimazione, non vedevo l’ora di finire per scappare via. All’uscita del reparto, il dialogo con alcuni familiari dei pazienti mi ha fatto subito cambiare idea, ho capito che l’Ospedale o la casa di cura non è solo un luogo, una struttura nel quale si cura e ci si prende cura dei malati, dei sofferenti: è un luogo al servizio della vita. Mi torna in mente quanto ha detto Giovanni Paolo II (EV n.89) “Le strutture sanitarie hanno bisogno di essere animate da persone generosamente disponibili e profondamente consapevoli di quanto decisivo sia il Vangelo della vita per il bene dell’individuo e della società”. Mi sono ritrovato subito nelle parole che Gesù dice ai suoi discepoli quando li invia in missione (…curate i malati che vi si trovano, e dite loro: si è avvicinato a voi il Regno di Dio. …) Lc 10,9.
In questo versetto vedo il primo cappellano: il servizio di Assistente Spirituale (come viene chiamato oggi) non è rivolto solo al malato ricoverato nella struttura, ma comprende il Personale sanitario, tutti coloro che vi lavorano, i familiari dei degenti; a tutte queste figure si deve prestare attenzione, ascolto, vicinanza. Occorre essere una presenza sicura. Qualcuno pensa che per fare l’Assistente Spirituale nelle strutture Sanitarie bisogna avere la sensibilità per il malato; si sbaglia, serve invece la sensibilità per tutto il mondo sanitario, comprese le figure sopra dette (conoscere il sistema, vivere nel sistema)….vivere accanto a chi si prende cura, conoscere le dinamiche. Anche il personale ha bisogno di cura spirituale…
La sensibilità al malato la deve avere ogni cristiano, ogni sacerdote; il malato (non solo per patologia fisica), lo trovi anche sul territorio parrocchiale, nella sua casa. In ospedale rimane pochi giorni, chi rimane sempre in ospedale, invece, è il personale Sanitario. Oggi purtroppo la nostra società, segnata da profondo secolarismo, ci porta a non valorizzare questo servizio pastorale; sembra inutile e superflua la figura di un sacerdote tra le corsie di un ospedale (addirittura si è tentati di vedere altri luoghi dove si gioca il destino dell’uomo).
PER APPROFONDIRE: Don Vincenzo Pace e la cura degli ultimi in corsia: «È incontro col Signore»
Invece proprio nel momento della sofferenza, della malattia, della fragilità, si pone con urgenza il bisogno di dare risposte adeguate alle questioni ultime della vita dell’uomo, sul senso del dolore, della sofferenza, sulla morte, considerata non come un mistero con il quale confrontarsi con fatica, ma come mistero in cui Cristo prende su di Sé la nostra esistenza, portandola ad una nuova nascita per una vita senza fine. La speranza del cristiano sta in Cristo, lui è la risposta ai nostri interrogativi. Nel contesto ospedaliero è fondamentale la presenza della Chiesa, perché si interessa dell’uomo nel momento cruciale della fragilità della vita, lo orienta al mistero pasquale di Cristo che dà senso all’esistenza umana.
Proprio per questo in queste realtà la Chiesa deve essere presente con persone preparate, sicure di sé, pronte a dare testimonianza e risposte precise sul suo credere, sul mistero della vita, sul perché del dolore….in queste realtà si incontrano persone che in chiesa non verranno mai o persone che sono sempre state lontane. L'ospedale è un luogo di evangelizzazione primario, perché la vita, spesso senza volerlo, ci presenta il “conto”. Un conto che non possiamo rifiutare di pagare, e nemmeno “scegliere il letto su cui dimorare”. Ecco perchè il Cappellano o Assistente Spirituale da destinare a questa realtà, non deve essere “il primo che mi viene in mente, o qualcuno da collocare”… ma una persona ben preparata a questa missione speciale… (con questo confermo che io non mi sento e non ero la persona preparata a questo compito). L’ospedale si prende cura degli uomini cercando di curare anima e corpo. E questo è possibile grazie alla collaborazione, alla sinergia di tutti gli operatori, tenendo presente che tante malattie non si possono guarire, ma curare si.
Si, già qualche altra volta avevo definito l’Ospedale come una ”Parrocchia particolare”, dove i quartieri sono i vari reparti, le case le stanze di degenza, i parrocchiani con abiti simili…camici bianchi, divise di vari colori, pigiami e vestaglie,…non mancano i luoghi di ritrovo, …”il distributore di bevande, il bar, la” piazza androne”, la fila ai vari sportelli, le sale di attesa…., anche in questi luoghi ci si ritrova, oltre che naturalmente nelle UOC di degenza. Tutti questi sono i luoghi dove ci si incontra con le persone, per scambiare una parola di conforto, dare qualche informazione, confrontarsi con le varie figure professionali e volontari. Non ci sono orari precisi di inizio e fine servizio, se non quelli delle celebrazioni quotidiane. Iniziando le visite nei Reparti non c’è un tempo stabilito per la durata, tutto dipende dal colloquio con pazienti e personale.
La giornata inizia con la celebrazione al mattino, qualche colloquio con il personale e con qualche parente o degente dopo la celebrazione. Intorno alle 9:00 inizio il giro nei Reparti fino alle 12:00 circa (non oltre perché dalle 12:00 in poi viene servito il pranzo). Spesso mi trovo a colloquio con il personale, qualche familiare, mi reco in qualche ufficio interno per qualche autorizzazione , per pratiche burocratiche di competenza della cappellania, per qualche colloquio anche con il personale amministrativo e senza accorgermi arrivano le ore 14:00: mi fermo anch’io qualche ora. Nel pomeriggio continua la visita ad altri Reparti, non posso stabilire la fine del giro, sono 26 Reparti, con tante esigenze, sia dei pazienti che del personale. Spesso a tarda sera o di notte ricevo chiamate per richieste di Assistenza Spirituale urgente, devo essere sempre reperibile, oppure deve esserlo qualcuno al mio posto.
Da circa 10 anni in questo servizio, un prezioso aiuto mi viene dato da una Suora di Maria Bambina, una coordinatrice infermieristica in pensione: Sr Piera Sala Crist, originaria di Sondrio, una donna e consacrata straordinaria, per le sue capacità di relazione sia con il personale che con ammalati e familiari. Quotidianamente si trova in Ospedale, e, oltre alle visite nei Reparti, si prende cura della Cappella e della sacrestia, servizio svolto con competenza e responsabilità. Punto di riferimento per tutti. Da qualche anno c’è l’aiuto saltuario di un Diacono permanente, per la visita ai degenti, Don Antonino Quaresima. Da circa un mese è stato nominato il secondo Cappellano, Don Vincenzo Pace, sacerdote Diocesano. Con questa nomina spero si possa offrire un servizio più intenso sia al personale che ai degenti. È presente 3 giorni a settimana e mi sostituisce durante le mie assenze. La Domenica e festivi, grazie alla presenza dei MSC (sono circa 10), dopo la celebrazione della S. Messa portiamo l’Eucarestia in tutti i Reparti: anche questo momento è atteso dai Pazienti e personale.
Le Sr del Volto Santo, alternandosi tra di loro, assieme a un gruppo del personale e volontari, la domenica e festivi garantiscono l’animazione liturgica, in cappella, prezioso servizio, sia alla liturgia che al luogo. Un grazie alla Madre Generale e a tutto l’Istituto che da alcuni anni garantiscono questo servizio. Come in ogni parrocchia, anche qui in Ospedale viviamo momenti di preghiera, adorazione, e celebrazioni come le novene, Immacolata, Santo Natale, celebrazione di varie ricorrenze. Un’attenzione particolare viene data alla Giornata Mondiale del Malato,11 febbraio, preceduta da un novenario, e da qualche evento formativo e ricreativo. Non mancano, durante il corso dell’anno, dei pellegrinaggi in santuari o luoghi della Calabria e anche fuori Regione, con il personale e volontari, per vivere dei momenti di preghiera e svago.
Certamente, senza la presenza di queste figure, non potrebbe esistere la Cappellania. C’è una buona collaborazione, nel preparare vari eventi che si svolgono sia nei Reparti che in Cappella. Mi sento di avere un buon rapporto di dialogo con tutto il personale. Posso dire che proprio il personale sono i parrocchiani fissi, i pazienti dopo pochi giorni tornano a casa. Anche per loro, come cappellania organizziamo degli eventi formativi di aggiornamento, su temi quali etica, comunicazione, relazione d’aiuto,… in collaborazione con l’Ufficio Formazione del G.O.M. e, da qualche anno, con l’Ufficio di Pastorale della Salute Diocesano, del quale sono Direttore.
Il 9 e 10 dicembre si sono svolti due eventi ECM sulla comunicazione per personale e volontari. Per tanti di loro la Cappella è un punto di riferimento, di inizio e fine turno lavorativo: consegnano in quel luogo le gioie , le difficoltà sia personali che dei pazienti. Tanti di loro collaborano per la preparazione e l’animazione in varie celebrazioni.
Il Covid 19 ha letteralmente sconvolto la vita sociale e, in modo particolare, quella ecclesiale. Ha portato a una “desertificazione” di cui ancora oggi si sentono gli effetti. Quel virus invisibile ha paralizzato tutto e tutti. Le parole d’ordine, ribadite dai mass-media, erano: «Restate a casa», «Insieme ce la faremo». Forse oggi dovremmo dire “potete uscire di casa”. Tanti ancora hanno paura di riprendere il cammino, tornare come prima. Mi chiedo: ma è colpa del virus, o si aspettava il virus per interrompere il cammino?
Anche la pastorale della salute, in modo particolare, ha risentito della pandemia: tanti volontari non sono più rientrati in servizio, le visite dei parenti sono ridotte, i pazienti non possono uscire dai Reparti di Degenza, tante iniziative a livello culturale e ricreativo non sono ancora possibili. Diamo colpa alla pandemia, in tutto ciò che si è interrotto, ma è proprio così? Ormai penso sia giunto il tempo di rivedere il perché della presenza di tanto vuoto… forse dobbiamo avere coraggio, come Abramo, che per fede partì senza sapere dove andare, dobbiamo lasciare che lo Spirito ci guidi e sono certo che aprirà nuove strade nel deserto. Sicuramente ci saranno nuove vie per la pastorale nei luoghi di cura, ancora poco chiare.
Si potrebbe aiutare la cappellania dell’Ospedale, oppure gli altri luoghi di Assistenza, come RSA, case di cura territoriali, con l’intervento di volontari provenienti dalle parrocchie (soprattutto di giovani), per fare delle esperienze forti di “servizio”, per regalare un po' di compagnia a chi sta vivendo un tempo particolare della propria vita, come quello della sofferenza, della solitudine.
Sarebbe bello se in ogni parrocchia ci fosse un gruppo di volontari o Ministri della Consolazione che, conoscendo la realtà del territorio parrocchiale, tenessero i contatti con il cappellano dell’ospedale facendosi presenti, visitando i parrocchiani durante il periodo di degenza e come chiesa segnalare eventuali difficoltà o situazioni particolari. Al Gom di Reggio Calabria ci sono Degenti dell’intera provincia ed oltre, anche qualche caso fuori Regione. A volte fa male sentir dire: da anni non mi confesso e non ricevo l’eucarestia perché ammalato/a non posso recarmi in Chiesa e nessuno viene a trovarmi, nonostante le richieste.
In ospedale si può svolgere un servizio principalmente in due modi: il servizio come Dipendente Operatore Sanitario, lo svolgi perché dipendente dell’azienda, perché è tuo dovere, che corrisponde a sua volta il diritto allo stipendio. Questo servizio o “missione” di Operatore Sanitario oltre che delle competenze professionali e tecniche, necessita di tanta di umanità, perché hai a che fare con una persona, non con un fascicolo cartaceo, o elettronico, o con una macchina da riparare.
Il paziente spesso è un tuo coetaneo, oppure più anziano o un giovane. Con facilità, indipendentemente dall’età, si trova smarrito, confuso, pieno di paure. L’operatore sanitario ha il dovere e la professionalità di mettere il paziente a suo agio, con la sua capacità di comunicazione. Senza mai dimenticare che al posto di quel paziente si può trovare un suo familiare o egli stesso … fai all’altro ciò che vorresti venisse fatto a te…
Altro tipo di servizio che favorisce il dialogo è quello del volontario, ruolo importante, diverso da quello dell’operatore, ma anche questo necessita di preparazione e formazione adeguata. In questo tempo è un settore in crisi, almeno nel nostro Ospedale, sia per il numero basso di volontari che per l’età medio/alta (dopo il covid tanti non sono più rientrati).
Tanto spazio ci sarebbe per i giovani. Quanto bene potrebbe fare una carezza, un semplice sorriso di un giovane ad una persona che soffre? Quante lezioni di vita si potrebbero ricevere da quella “cattedra” del letto dell’ospedale?
Quello che preoccupa è che spesso vediamo persone anziane che, dopo una lunga vita in famiglia, terminano i loro giorni nella solitudine di un letto di ospedale. Dialogando tante volte con i familiari sento dire: a casa non possiamo potarlo/a ci sono i ragazzi, non si può gestire. Io credo che il problema sia un altro: la società oggi esalta ciò che è bello, forte, produttivo, giovane; una persona anziana, ammalata meglio tenerla lontana, non far vedere un corpo che si consuma, che si trasforma, fa paura, perché fa vedere ciò che sarò…dovremmo cercare di valorizzare la bellezza e la ricchezza della persona adulta anziana, anche se malata: quanti valori ci può trasmettere!... tutti sappiamo, che una persona anziana è una biblioteca vivente. Un servizio fatto con amore, competenza, è scuola di vita che si tramanda tra le generazioni.
Sono circa 32mila i sacerdoti secolari e religiosi a servizio delle 226 diocesi italiane: 28.980 esercitano il ministero attivo, tra i quali circa 300 sono stati impegnati nelle missioni nei Paesi del Terzo Mondo come fidei donum, mentre 2.552 sacerdoti, per ragioni di età o di salute, sono stati in previdenza integrativa. È questa la “squadra” dei testimoni del Vangelo, che ogni giorno portano aiuto e speranza, senza dimenticare nessuno, dedicandosi a tempo pieno ai luoghi in cui tutti noi possiamo sentirci accolti, far vivere le nostre passioni e mettere in luce i nostri talenti.
La nuova campagna promossa dalla Conferenza episcopale italiana in questo tempo d’Avvento racconta una Chiesa che si fa vicina a ogni persona e propone di stimolare una riflessione profonda sui valori dell’ascolto, della fede e della condivisione. L’obiettivo è ricordare che la Chiesa è, per tutti, una casa accogliente e una comunità di fede, capace di unire e sostenere, specie nei momenti di maggiore fragilità. Per maggiori dettagli sulla campagna e sui progetti sostenuti, è possibile visitare i siti: www.8xmille.it e www.unitineldono.it
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Si terrà venerdì 24 gennaio, dalle 16 alle 18, presso la Terrazza del Museo Archeologico
Conclusi a Roma i lavori della Conferenza episcopale italiana: priorità al Giubileo, ai giovani e alla giustizia sociale