Avvenire di Calabria

La "profezia" del suo testamento spirituale

Verso il 16 giugno, il commiato di don Italo dalla comunità

di Luciano Squillaci e Mario Nasone

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Il 12 maggio 1990, Don Italo Calabrò, nel salone della casa da lui donata al Centro Comunitario Agape,  consapevole che l’ora del sua cammino terreno era sempre più vicina, convoca i suoi amici per un incontro di preghiera. Di fatto, parlando a braccio, scrive  il suo testamento spirituale più completo di quello lasciato. Un momento di grande tensione ed emozione, in un silenzio surreale, con tante lacrime trattenute, che don Italo cerca di mitigare come sempre con il suo umorismo , con i suoi aneddoti e le sue battute, anche se c’è poca voglia di ridere da parte dei presenti. Per la meditazione sceglie un brano molto bello ma soprattutto in sintonia con il momento del distacco che stava per avvenire con la sua comunità sapendo che la fine della sua vita era molto vicina. E’ il passo in cui Paolo manda a chiamare a Mileto gli anziani della chiesa di Efeso, la chiesa che lui aveva fondato.

Nella meditazione di don Italo  è impressionante l’identificazione con lo stato d’animo e con le parole pronunciate dall’apostolo in occasione del suo commiato: «ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. Per questo dichiaro solennemente oggi a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio». Don Italo  traccia anche Lui, prima di partire per l’ultimo viaggio  un bilancio della sua vita e del cammino fatto con i suoi amici, con i Vescovi e la Chiesa reggina, un lunga storia segnata da fatiche, sofferenze, fallimenti  ma anche da tanta gioia per avere avuto il dono di servire la chiesa e gli ultimi. Riconosce di avere dato molti  pesi e responsabilità ai suoi tanti compagni di viaggio,  ma anche la possibilità di dare un una bella dimensione alla loro vita, un bel respiro. E come San Paolo lascia le sue consegne finali. Come il padre che lascia i suoi figli affidandoli a chi se ne potrà prendere cura, ricorda ciò che è stata per Lui la scelta di seguire Gesù, quali sono stati  riferimenti essenziali che hanno orientato la sua vita ed il suo sacerdozio facendo sue le parole di Paolo: «ed ora vi affido al Signore e alla Parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati. Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte e maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore che disse: "vi è più gioia nel dare che nel ricevere!"».

Una riflessione che nel tempo presente è più che mai attuale. A rileggere oggi le parole pronunciate da Don Italo ciò che colpisce è la profondità del messaggio, ma soprattutto l’attualità del mandato. Don Italo, consapevole dell’ormai prossima morte, non si scoraggia, non lascia che la disperazione lo travolga. Non consente neanche che i suoi “amici” lo consolino, lo compatiscano. Eppure avrebbe potuto farlo.

No, anche in un momento così grave, in cui tutto potrebbe sembrare perduto, Don Italo ricama parole di Speranza. La Croce, dice, non è fine a sé stessa, ha uno sbocco di luce, nella Resurrezione.

Ed è questa la parte profetica di quell’ormai lontano 12 maggio 1990 che sembra dire oggi, a noi tutti: non temete!

Anche in questo momento in cui il mondo è flagellato dalla pandemia, in cui per questa nostra terra di Calabria sembra non esservi alcun futuro, dove i diritti dei più deboli sono calpestati dalla quotidiana incuria di chi li dovrebbe garantire, anche in questo tempo così difficile, Lui mantiene sempre le sue promesse.

Ed è una Speranza operosa quella cui ci esorta Don Italo “anche se non abbiamo dato tanto spazio alla preghiera come momento in sé, credo che abbiamo pregato tutta la vita. Ogni volta che abbiamo lottato per gli ultimi, ogni volta che ci siamo fatti carico di nuove situazioni, era il Signore che pregava!

Ecco il cambiamento cui siamo chiamati oggi, ritrovare la gioia di lottare per gli ultimi, il coraggio di affrontare nuove sfide.

Ma non possiamo costruire il cambiamento da soli.

«Un’ultima cosa vi chiedo, che vi aggreghiate di più agli altri gruppi ecclesiali, che facciate sempre tesoro delle altre esperienze che fioriscono dentro la Chiesa, ma anche di quelle che fioriscono fuori dalla Chiesa…senza quella chiusure grette: questi credono, questi non credono…ma sono di buona volontà: abbiate fiducia negli uomini».

Abbiate fiducia negli uomini e “aggregatevi”. Con le parole di oggi diremmo: implementiamo il capitale sociale delle nostre comunità, ripartiamo dalle persone, costruiamo relazioni di qualità. In tutto questo è la profezia di Don Italo, una profezia che oggi diventa la nostra responsabilità.

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