Avvenire di Calabria

Assenze e attentati, la solitudine di una città

Mentre a Roma si discute, gli attentati incendiari e la ‘ndrangheta continuano a consumare Reggio Calabria

Davide Imeneo

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«Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata». Tito Livio, nelle sue Storie, ha cristallizzato il dramma della politica. Duecento anni prima di Cristo, quando si combatteva la seconda guerra punica, mentre il generale cartaginese Annibale Barca assediava Sagunto, il Senato romano continuò a tergiversare per otto mesi nella decisione di inviare rinforzi. La città spagnola fu rasa al suolo, prima ancora che i provvedimenti romani avessero efficacia.


Mentre a Roma si discute, Reggio Calabria brucia. Così potremmo parafrasare Tito Livio, attualizzando ai nostri giorni, ai nostri drammi.

Due esempi, gli ultimi, di questa settimana. Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha risposto dopo 80 giorni alla lettera inviatale dall’arcivescovo Morosini sulla drammatica situazione della Sanità Calabrese. Al presule reggino avevano poi fatto eco anche gli altri pastori della Chiesa regionale, al termine della Conferenza episcopale calabra di settembre.

Nella risposta, si legge: «Il nostro impegno sarà finalizzato ad intervenire innanzi tutto sulla struttura commissariale, attraverso una necessaria revisione normativa, ci stiamo già attivando mediante lo studio di soluzioni concrete che facciano sì che in Calabria venga garantito a tutti i cittadini un diritto fondamentale: il diritto alla salute». Ma il problema è che mentre a Roma «si stanno attivando» in Calabria si muore di malasanità e i dipendenti delle strutture private sono in sofferenza.

L’altro esempio è legato all’incendio doloso di una centralissima attività commerciale, avvenuto a Reggio Calabria mercoledì notte.

Mentre a Roma si continua a discutere sul Decreto sicurezza, che è stato comunque approvato, ma poi bocciato dal Csm, gli attentati incendiari e la ‘ndrangheta continuano a consumare la città in riva allo Stretto.

In entrambi i casi, però, ciò che stupisce è l’abitudine dei reggini al «peggio». Nei confronti della malasanità vi è un atteggiamento di rassegnazione, quasi di stagnazione. Chi può scappa dalla Calabria per curarsi “fuori”, chi non può affronta la Sanità pubblica più con devozione che con fiducia.

Agli attentati, invece, non si reagisce. Si vive di indifferenza. Come se fosse normale che qualcuno possa o debba regolare i conti attraverso il fuoco, le bombe o i proiettili.

Certo, rispetto ai problemi della Calabria, Roma ha le sue colpe. Ma se davanti ai crimini e alle inefficenze non c’è indignazione, allora è anche colpa nostra.

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