Avvenire di Calabria

La Commissione del Senato approva la Riforma sull'Autonomia differenziata, ma c'è aria di stallo nella maggioranza di Governo

Autonomia differenziata, si allarga il fronte dei contrari alla Riforma

Vi proponiamo tre chiavi di lettura per capire meglio il contesto in cui si sta muovendo l'idea di un regionalismo spacca-Italia

di Autori Vari

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La Commissione del Senato approva la Riforma sull'Autonomia differenziata, ma c'è aria di stallo nella maggioranza di Governo. Vi proponiamo tre chiavi di lettura per capire meglio il contesto in cui si sta muovendo l'idea di un regionalismo spacca-Italia.

Riforma dell'Autonomia differenziata, il contesto politico

di Federico Minniti - Autonomia differenziata, cosa c’è da sapere di più? Ne abbiamo parlato con Marco Iasevoli, giornalista di Avvenire, dal 2018 viceresponsabile del servizio politico.

Campano, ha una lunga militanza in Azione cattolica, essendo stato dal 2008 al 2011 vicepresidente nazionale per il Settore giovani e attualmente è il direttore responsabile del trimestrale «Segno nel mondo».

Oltre ad esplorare quanto sta accadendo in queste settimane nel Transatlantico parlamentare, con Iasevoli abbiamo provato a capire quanto la Riforma sia una prova di forza nella maggioranza guidata dalla premier Giorgia Meloni e in che modo società civile e Chiesa del Mezzogiorno stiano manifestando le proprie perplessità su una legge che appare iniqua per i territori già più penalizzati dalle logiche spartitorie degli ultimi anni.


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Una legge-bandiera annunciata a più riprese, ma che - adesso - sempre vicinissima al rush finale. Partiamo da qui: a che punto è l’iter della riforma sull’Autonomia differenziata?

La riforma ha concluso il proprio iter in Commissione al Senato, dopo il quale andrà in Aula a Palazzo Madama. Trattandosi di un disegno di legge, che quindi non ha tempi stabiliti per l’approvazione, i suoi tempi di esame sono sostanzialmente dettati dalla politica. Quando la maggioranza di centrodestra e il governo riterranno che sia il momento di chiudere il cerchio, avremo delle accelerazioni. I rallentamenti, invece, sono lo specchio di dubbi e perplessità che si annidano nella stessa coalizione di governo.

Dubbi e rallentamenti che secondo alcuni evidenziano come questo Ddl sia una vera e propria prova di equilibrismo per la Maggioranza. Quali i punti di convergenza e quali quelli di scontro tra i partiti di centrodestra?

Dietro il muro della compattezza, la coalizione di centrodestra ha anime molto diverse. L’autonomia è un progetto che sta a cuore alla Lega, che dopo l’evoluzione “nazionalista” di Salvini vuole comunque dimostrare all’elettorato del Nord, dove è tornato ad addensarsi il proprio consenso, di non aver abbandonato le proprie battaglie storiche. Fratelli d’Italia invece è un partito che raccoglie voti in modo omogeneo da Nord a Sud, e che si pone l’ambizione di strutturare una sorta di “Partito della Nazione”. Forza Italia conserva un consenso sviluppato nel Centro-Sud, dove esprime anche diversi amministratori regionali. I tre partiti convergono in linea solo teorica sull’idea di autonomia differenziata, ma la realtà è che Fdi e Fi temono danni al Meridione, sebbene non possano dirlo esplicitamente.

Arriviamo proprio a una delle note dolenti. Contano più gli interessi dei territori o gli ordini di scuderia. Che posizione istituzionale è stata presa, finora, dagli enti locali del Mezzogiorno?

Le posizioni assunte da Comuni e Regioni del Sud dipendono dal colore politico delle singole amministrazioni. Per capire il livello di diffidenza che c’è negli enti istituzionali meridionali occorre valutare con estrema attenzione le posizioni espresse da governatori di centrodestra. Questi da un lato sono tenuti a non opporsi al governo, dall’altro esprimono rilievi e preoccupazioni che vanno considerati come “segnali” alla loro stessa parte politica. Sono profondamente contrarie, ovviamente, Regioni e Comuni amministrati dal centrosinistra.


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Tra i dubbi espressi neanche troppo sottovoce ce n’è uno che riguarda la “spesa storica” e i Lep, ovvero i livelli essenziali delle prestazioni. In tal senso quali sono i margini di “tutela” per il Sud in Parlamento?

L’intero sistema di protezione del Meridione dagli effetti potenzialmente negativi dell’autonomia differenziata è nella definizione di Lep (livelli essenziali delle prestazioni) che tengano i servizi delle Regioni del Sud su livelli di finanziamento adeguati. Sui Lep si consuma quasi l’intero dibattito in Commissione al Senato. Ma io credo che anche definire adeguatamente i Lep non metta al riparo il Sud. Perché una cosa è mettere sulla carta degli impegni e un’altra è realizzarli. La “tutela” del Sud può essere solo e unicamente politica e mi spiego: trovare una formula che dia la bandierina dell’autonomia alla Lega, apporti qualche beneficio simbolico alle Regioni del Nord ma non tolga risorse al Sud.

Infine, dal suo osservatorio nota un dialogo aperto tra la Cei e il governo su questa riforma e i suoi effetti sui territori?

Sull’autonomia differenziata la Chiesa meridionale e nazionale si è espressa con una certa nettezza, mettendo in guardia dai rischi di separare l’Italia in due pezzi, uno proiettato verso il futuro e l’Europa e l’altro condannato a essere “bello ma inutile”. Ci sono pronunciamenti importanti e che potranno avere un peso a mio modo di vedere nel ridurre l’impatto concreto di questa riforma. Poi la realtà è che bisogna vedere l’andamento complessivo del governo e della maggioranza: sappiamo che la presidente del Consiglio vuole che l’autonomia cammini di pari passo con la riforma costituzionale del “premierato elettivo”, che richiede una procedura rafforzata di approvazione. Bisogna vedere cosa accadrà politicamente da oggi al momento in cui l’autonomia sarà concretamente in procinto di essere approvata, i fatti politici sono imprevedibili.

Economia, legge spacca-Italia: le differenze regionali rischiano di esplodere

di Domenico Marino * - In questo ultimo periodo si è molto parlato di Autonomia differenziata, ossia di un processo in cui ogni regione può chiedere che gli vengano assegnate in maniera esclusiva delle specifiche competenze che prima venivano garantite dallo Stato.

L’Autonomia differenziata, come viene proposta e declinata non solo non è scevra di problemi perché molto spesso i trade-off fra dimensione ed efficienza diventano rilevanti e il conflitto di competenze, se non correttamente gestito, rischia di diventare poco efficiente o di creare distorsioni e divari territoriali molto forti sia di tipo economico, sia nella dotazione di servizi pubblici.

L’Autonomia differenziata in Italia presenta specifici rischi e sfide soprattutto con riferimento alle regioni in ritardo di sviluppo del Mezzogiorno. La questione centrale è che, concedendo maggiori risorse alle regioni più sviluppate (soprattutto al Nord) in settori chiave come sanità, istruzione e infrastrutture, si rischia di aumentare il divario con il resto del paese.

Le regioni del Sud, storicamente più dipendenti dai trasferimenti statali, potrebbero vedere una diminuzione significativa di tali fondi. Se le regioni più ricche mantengono e aumentano le loro risorse, quelle meno sviluppate potrebbero trovarsi in una situazione di ulteriore svantaggio finanziario e, pertanto, non si può negare che l’adozione dell’Autonomia differenziata metta in discussione il principio di solidarietà su cui si è sempre basata la distribuzione delle risorse in Italia.

Un’accentuazione delle autonomie regionali potrebbe, quindi, portare a un’erosione del concetto di coesione nazionale, fondamentale per garantire un equo sviluppo di tutte le aree del paese, determinato dall’aumento dell’autonomia nelle regioni più sviluppate che si tradurrebbe in servizi migliori e più efficienti, lasciando indietro il Sud. Questo divario nei servizi potrebbe avere ripercussioni serie sulla qualità della vita e sulle opportunità disponibili per i cittadini meridionali.

Un’altra preoccupazione è l’aumento della fuga di cervelli e e dell’emigrazione giovanile nelle regioni meridionali. Questo spostamento demografico potrebbe ulteriormente impoverire le regioni meridionali, creando un circolo vizioso di sottosviluppo. Se le regioni settentrionali diventano ancora più attraenti a causa di migliori servizi e opportunità, si potrebbe assistere a un ulteriore spopolamento del Sud, aggravando la situazione economica e sociale.

Con minori risorse e servizi di qualità inferiore, le regioni del Sud potrebbero faticare ad attrarre investimenti, sia nazionali che internazionali, limitando le loro possibilità di crescita economica e sviluppo. In termini di sanità, questo potrebbe tradursi in un accesso diseguale alle cure e a una qualità dei servizi sanitari nettamente diversa.


PER APPROFONDIRE: L’Autonomia differenziata ora fa paura anche alla Regione Calabria?


ie più limitate e una storica dipendenza dai trasferimenti statali, potrebbero trovarsi a dover gestire sistemi sanitari con meno fondi, il che porterebbe a una riduzione della qualità delle cure, a lunghe attese per trattamenti e a strutture meno all’avanguardia rispetto a quelle del Nord.

In Italia esistono già divari apprezzabili fra i diversi sistemi sanitari regionali e che l’accesso alle cure non è garantito nella stessa maniera nei diversi territori. I Lea, (Livelli essenziali di assistenza), che dovrebbero essere l’applicazione del principio espresso dall’art 32 della Costituzione, sono abbastanza sperequati fra le regioni italiane, dando origine a sanità di serie A, quella delle regioni ricche, e sanità di serie B, quella delle regioni povere.

Ad esempio, il sistema dell’emergenza-urgenza in Calabria non è in grado di assicurare una uniformità di accesso tempestivo alle cure in relazione ad alcune patologie e anche in Italia si riscontra un mortality gap che è più evidenziato nelle regioni meridionali.

La sanità è stata spesso oggetto di tagli, per eliminare gli sprechi ci è viene detto. In realtà i tagli hanno cristallizzato una sanità diseguale a due velocità, fra regioni ricche e regioni povere, e all’interno delle regioni fra territori ricchi e territori poveri.

E l’Autonomia differenziata , non si limiterà a cristallizzare questa situazione, già molto iniqua, ma sicuramente la aggraverà. Analogamente, nel campo dell’istruzione, l’autonomia differenziata potrebbe creare un sistema a due velocità, dove le scuole nel Nord beneficiano di maggiori investimenti, tecnologie avanzate e programmi didattici più innovativi, mentre quelle del Sud faticano a mantenere standard qualitativi elevati.

Tale divario nell’istruzione potrebbe avere ripercussioni a lungo termine sullo sviluppo socio-economico delle regioni meridionali, limitando le opportunità per i giovani e perpetuando il ciclo di minori investimenti e minore sviluppo.



L’autonomia differenziata rischia di esacerbare le disparità regionali in Italia, compromettendo il progresso e lo sviluppo equilibrato del paese. Assicurare che ogni regione, indipendentemente dal suo livello di sviluppo, possa fornire servizi sanitari e educativi di qualità è cruciale per garantire un’equa distribuzione delle opportunità, per sostenere lo sviluppo armonioso e sostenibile dell’intero paese e per mantenere una forte attenzione alla solidarietà e alla coesione nazionale.

* UniRc

Terzo Settore, senza fondi i Lep sono svuotati di senso

di Luciano Squillaci * - Nei giorni scorsi il Presidente Sabino Cassese ha consegnato al Governo, nella persona del ministro Calderoli, il Rapporto Finale della Commissione sugli ormai famosi Lep (livelli essenziali delle prestazioni), sbandierati come argine risolutivo ai rischi, altrimenti devastanti, dell’Autonomia differenziata, o meglio del regionalismo differenziato.

In realtà però, come peraltro specificato dallo stesso Ministro Calderoli in una recente intervista a La Stampa, certamente i Lep verranno definiti prima dell’avvio del processo di autonomia, ma non saranno previste specifiche fonti di finanziamento per garantirne l’attivazione.

“Il patto” ha affermato il Ministro “è che la legge venga approvata e che non venga traferita nessuna funzione prima che siano definiti i Lep e i relativi costi e fabbisogni standard. La garanzia delle risorse per i Lep è nella costituzione…nei momenti di difficoltà si stringerà la cinghia”.

Con buona pace di chi insiste con il dire che l’autonomia porterà beneficio anche al meridione, cosa della quale ormai non sembra neanche più convinto lo stesso Governatore Occhiuto. Il rischio infatti è esattamente il contrario: avviando il processo di autonomia, con il criterio della spesa storica, tutt’oggi principale riferimento, verranno cristallizzate, o il ministro Roberto Calderoli meglio legittimate le diseguaglianze.

Verrà certificato, e probabilmente ampliato, il divario tra territori del nord e del sud del Paese. E questo evidentemente vale purtroppo per tutti i diritti di cittadinanza, dalla salute all’istruzione, dal lavoro alle politiche sociali. Del resto un esempio di quanto potrebbe avvenire lo abbiamo già sotto gli occhi da diversi anni in ambito sanitario.

Una recente ricerca della Fondazione Gimbe ha rilevato come solo tre regioni hanno raggiunto, tra il 2010 ed il 2019, l’86% del soddisfacimento dei cosiddetti Lea, livelli essenziali già previsti in sanità. Ovviamente queste regioni “virtuose”, e che hanno già richiesto l’autonomia, sono il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna. Nel frattempo invece il Sud, nella sua interezza, è fortemente staccato, con un divario che supera i 40 punti percentuali rispetto al Nord del Paese.

Eppure, giova ricordarlo, i Lea sono formalmente stabiliti ed anche finanziati attraverso il Fondo Sanitario Nazionale. Ecco perché l’individuazione dei Lep, e persino il finanziamento degli stessi ove fosse stabilito, non sarebbe sufficiente ad evitare una definitiva spaccatura nel Paese sui diritti di cittadinanza. Gli elementi che compongono il divario, infatti, non possono essere semplicisticamente ricomposti attraverso una mera elencazione di prestazioni.

Occorre andare alla radice dei problemi, primo tra tutti una condizione di partenza in termini di funzionamento della macchina burocratica ed amministrativa, che vede le regioni del Sud diversi decenni indietro rispetto alle consorelle del Nord. Sul punto è sufficiente verificare l’attuale capacità di spesa, e prima ancora di programmazione, da parte degli ambiti territoriali sociali, primi garanti dei diritti di cittadinanza.

In Calabria ad esempio, in diversi comuni, la capacità di spesa in tema di politiche sociali non supera il 30% delle risorse disponibili. Ecco perché il Ddl Calderoli, nonostante l’introduzione dei Lep, aumenterà il divario e le diseguaglianze sul territorio, consentendo alle regioni più avanzate di mantenere ed implementare risorse senza alcun dovere di perequazione con i territori più poveri. Anzi, tenendo per sé fin da subito parte del gettito fiscale raccolto sul territorio. Ovviamente a scapito soprattutto delle fasce più deboli che vedranno ulteriormente ridursi le possibilità di cura e di assistenza, già oggi di molto inferiori alle regioni settentrionali.

* Portavoce Forum Terzo Settore Calabria

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