Avvenire di Calabria

Calabria, le piaghe di una terra senza figli

Secondo il rapporto curato dall’Istituto Demoskopika per la Banca di Credito Cooperativo Mediocrati, negli ultimi 15 anni sarebbero stati almeno 180.000 gli under 35 emigrati altrove

Vincenzo Bertolone *

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«Basta un pugno di giovani per cambiare il corso della storia di una città, di un paese, del mondo».
Emoziona e vale ancora la frase che frère Roger, fondatore della comunità di Taizé, ha lasciato al mondo. Le sue parole, come una lama  squarciano il velo dell’ipocrisia, quella per la quale i giovani sono sempre in cima ai pensieri di chiunque. Eppure, alla prova dei fatti, per gli adulti essi non incidono granché nelle scelte, perché sono degni di attenzione solo quando sbagliano. Sicuramente, in quel che avviene c’è una corresponsabilità dei ragazzi, che a volte dimenticano che si può diventare grandi solo se si è capaci di pronunciare i sì e i no che contano nella vita, però  un problema di spazi negati esiste. E spesso e volentieri ha come immediata conseguenza la fuga, poco importa se pilatescamente scelta o forzatamente  subita.
Si prenda la Calabria: secondo il rapporto curato dall’Istituto Demoskopika per la Banca di Credito Cooperativo Mediocrati, negli ultimi 15 anni sarebbero stati almeno 180.000 gli under 35 emigrati altrove, un terzo dei quali laureati o in possesso di dottorato di ricerca. Che cosa ciò significhi, per una regione con poco meno di 2 milioni di abitanti, lo si legge nelle cronache, in specie in quelle che raccontano delle continue, ripetute operazioni di polizia giudiziaria in una terra che, per la pervasiva presenza della criminalità organizzata e per i diffusi fenomeni di corruzione, combatte una quotidiana, dura battaglia per la legalità. Ebbene, proprio il moltiplicarsi di inchieste conferma l’esistenza di un cancro capace di riprodursi, dopo ogni colpo subìto, con rinnovata, malefica vitalità. Il periodico risorgere del male dalle sue ceneri, allora, può essere spiegato solo guardando a un contesto sociale, economico e culturale più ampio, nel quale si muovono non solo gli ‘ndranghetisti, ma i tanti - purtroppo più numerosi dei soldati delle sole ‘ndrine e magari anche giudiziariamente incensurati - che con la loro mentalità, la loro acquiescenza, la loro connivenza, ne costituiscono il brodo di coltura.
In tale contesto, un ricambio costante sarebbe essenziale ed invece, a venir meno è proprio la linfa dei giovani, con i tantissimi che partono portandosi appresso, insieme alle valigie ed agli affetti, la formazione e le competenze sulle quali pure tanto si è puntato perché diventassero la forza d’una classe dirigente in grado di restituire alla Calabria vitalità economica e civile.
È evidente: se non s’inverte questa tendenza, la criminalità potrà pure perdere mille battaglie, ma vincerà sempre la guerra. Come ammoniva il beato Pino Puglisi, uno morto per strappare bambini e giovani ai mammasantissima, «è importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore, ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti».
 
* Arcivescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza episcopale calabra

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