Avvenire di Calabria

Chiesa e massoneria, semplicemente diversi

Né lontani, né vicini: le riflessioni di don Stamile sull'intervento del vescovo Staglianò

Ennio Stamile

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Nel nostro bel Paese sono pochi gli incontri culturali che destano interesse. Solitamente la cultura, ahinoi, viene relegata sempre all’ultimo posto, non solo dai Media nazionali e non, ma anche da quel vasto e virtuale mondo che convenzionalmente chiamiamo Social. Per milioni di persone alle tante occasioni culturali si preferisce il Grande Fratello Vip. Così, tanto per avere il gusto di vedere e di ascoltare il nulla, condito magari da qualche momento piccante misto a scenate da osteria, in questa mai compiuta “leggerezza dell’essere”. L’incontro organizzato domenica scorsa dai massoni a Siracusa ha catturato l’attenzione di molti. Certo, non per gli interessanti risvolti culturali che esso poteva avere, ma per le polemiche con cui è stato accompagnato vista la presenza del Vescovo di Noto, nonché teologo, Mons. Antonio Staglianò e per il manifesto molto provocatorio che annunciava l’evento. La vexata questio, è stata affrontata dal Vescovo con un’overture davvero singolare: il flauto magico di Mozart, notoriamente massone deluso dalle istanze illuministe e dalla chiesa del tempo. «Nell’immaginario collettivo dei più, i massoni sono visti come dei lupi, dei nemici incalliti della Chiesa, incalza Staglianò, eppure nel Vangelo Gesù Cristo ci manda come agnelli in mezzo ai lupi, ci comanda di amare i nemici». Queste le ragioni della scelta di partecipare all’incontro, che Rosmini avrebbe definito “carità intellettuale”. Tale “rappresentazione” immaginaria o non, traduce un evidente problema d’identità, che va ricostruita secondo il Vescovo. «Ciò che non aiuta è indossare il burqa. Il velo sì, perché gli occhi ed il volto bisogna vederli, ma il burqa proprio no, perché in esso si può nascondere la massoneria deviata». Attraverso l’immagine molto eloquente del “burqa”, il relatore mette, come si suol dire, il dito sulla piaga su uno dei problemi della massoneria. Proprio in questi giorni la Guardia di Finanza ha consegnato un dossier alla Commissione nazionale antimafia presieduta da Rosy Bindi, dal quale emergerebbe «che tra i nominativi degli iscritti alle logge massoniche della Calabria e della Sicilia, vi siano alcuni condannati per 416 bis, quindi per associazione mafiosa, e un numero considerevole di situazioni giudiziarie in itinere, imputati, rinviati a giudizio, sia di reati di mafia, che di quelli comunemente noti come reati spia di comportamenti mafiosi o comunque di collusione con la mafia». Così la stessa presidente annuncia a “Presadiretta”, nella puntata intitolata “I Mammasantissima”, i primi risultati del lavoro della commissione sui rapporti tra mafia e massoneria. In tutto sarebbero oltre duecento i nomi tra Calabria e Sicilia raggiunti da provvedimenti giudiziari per reati per mafia, ed il numero raddoppia abbondantemente con riferimento ai reati contro la pubblica amministrazione. Il dato è davvero impressionante se si considera che esso è riferito solo a Calabria e Sicilia. Occorre guardare al proprio interno con parresia, senza paura che emerga il marcio da epurare, perché anche la massoneria, come la Chiesa è semper reformanda. «Dialogare, allora? E come? - Continua nel suo intervento il Vescovo - Potremmo noi pensare che parole come pace, amore, solidarietà, suonino ad un massone con lo stesso contenuto con il quale un Vescovo le vuole comunicare? Oppure ognuno, secondo l’insegnamento di Wittgeinstein, è cassa di risonanza in cui determina il contenuto ed il significato delle parole utilizzate. Non perché sono parole comuni esse ci accomunano». E’ stato altresì ben evidenziato che l’autentico dialogo, non può essere finalizzato “solo e soltanto” ad individuare parole ed azioni che accomunano, magari pensando di azzerare le differenze. Esso cerca sempre, ed è questo lo sforzo del logos, di approfondire le proprie identità. Staglianò ha poi ribadito con la forza della ragione illuminata dalla fede, che «è il Kerigma di Gesù di Nazareth che può stabilire se siamo tutti - preti e vescovi inclusi - vicini o lontani, non lo può dichiarare un vescovo, men che meno lo si può ricavare da un dibattito sulle vicinanze o distanze tra massoneria e Chiesa». Lo stesso Kerigma, come aveva ben compreso Paolo di Tarso, è radicalmente fondato sulla Carità, è in essa che possiamo comprendere se anche in una estrema vicinanza - come quella di un prete che celebra l’eucarestia - ci può essere abissale distanza, se ci cede ad esempio alla corruzione. Dunque «peccatori sì corrotti mai!» Ciò che ci rende vicini o lontani è solo e soltanto la Carità, non basta fare opere filantropiche, solidaristiche, occorre con estrema onestà intellettuale riconoscere se si ha o meno la carità. Staglianò ha poi concluso citando l’esempio di Carità che è stata l’intera vita di don Pino Puglisi. Il parroco di Brancaccio, mentre continuava a lottare contro la mafia, ha anche sorriso a chi lo stava uccidendo. Questa è la carità: rispondere al male con il bene. Fare del male subito il luogo del massimo bene possibile: il perdono. Alla fine dell’interessante incontro, i massoni ed i cristiani, nonostante tanta confusione che da decenni serpeggia indisturbata, manifesta o tacita ignoranza dei salotti o delle sagrestie, si sono scoperti “né vicini né lontani” semplicemente “diversi”.

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