Avvenire di Calabria

Una leadership rispetto al socio–economico si scontra con l’immaturità istituzionale in atto

Commercio e cultura «pilastri» dell’Europa

Antonino Spadaro

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Da un po’ di anni, i partiti populisti e sovranisti “spacciano” l’immagine semplicistica di un’Unione Europea origine di gran parte dei guai nazionali: un sistema che non funziona, un luogo inutile dove si stabilisce la lunghezza dei cetrioli, che impone ai popoli nazionali regole fiscali e finanziarie rigide e insopportabili, governata da ottusi ed inefficienti burocrati nell’interesse di poteri forti e multinazionali. Senza negare carenze e inefficienze dell’Ue, e senza ignorare l’attuale grave “crisi” in cui essa versa, la verità è esattamente opposta: con tutti i suoi limiti, il sistema funziona; non si limita a porre regole di dettaglio per quisquilie insignificanti, ma fissa principi fondamentali per la vita del mezzo miliardo dei suoi cittadini, per esempio in materia di ambiente, trasporti, libera concorrenza, tutela dei consumatori, garanzie alimentari, libertà dell’informazione, rispetto della privacy, pluralismo antitrust, non di rado applicando sanzioni/multe miliardarie proprio ai poteri forti multinazionali; le regole che si dà, anche finanziarie, non sono imposte, ma liberamente decise dagli Stati stessi, che dunque si sono impegnati a rispettarle. Per di più l’Ue riesce a fare tutto ciò con un apparato amministrativo assai ridotto (poco più di 40.000 persone, appena il 6% del bilancio UE per 500 milioni di persone) numericamente inferiore a quello del solo municipio di Roma (48.000 dipendenti con le municipalizzate per meno di 4 milioni di abitanti). Il fatto che oggi alcuni Paesi – l’Inghilterra (da sempre una “palla al piede” per l’Ue) o la Polonia e l’Ungheria (che hanno acquistato solo di recente, ossia dopo il 1989, una vera indipendenza nazionale) – facciano fatica ad accettare tale ordinamento ed il fatto che altri Paesi (Francia e Germania) pretendano di esercitare un “direttorio” europeo sugli altri Stati–membri, non sono ragioni sufficienti per negare l’incredibile successo dell’istituzione europea che unisce la maggioranza del vecchio continente.

L’Europa ha costituito e costituisce uno straordinario esperimento sociale di pace e di benessere a livello continentale (fra Stati che per decenni si erano invece fatti la guerra, con milioni di morti). Nonostante la sua origine, più che politica, economica e nonostante le sue evidenti atipicità – infatti è insieme un ordinamento internazionale (Trattati), sovranazionale–transnazionale (Commissione, Parlamento, Corte di Giustizia e fonti) e intergovernativo (Consiglio) – l’Ue è un modello attrattivo a livello mondiale, tant’è che anche molti Paesi africani (Marocco) e asiatici ( Turchia) vorrebbero entrarvi a far parte. Non a caso proprio le superpotenze mondiali Usa e Cina vorrebbero ora “divisi” i Paesi europei, che “uniti” sono invece fortissimi. Ricordiamo che l’Ue è la prima potenza commerciale e il primo donatore per aiuti umanitari nel mondo. In questo contesto globale, non è preoccupante il fatto che l’Ue – “gigante” economico e culturale – sia un “nano” militare, ma che sia invece un instabile “adolescente” politico, incapace di parlare a una voce. L’evoluzione dell’Ue sarà, come è sempre stato, graduale e consensuale, ossia a “geometria variabile”: dall’Unione economica (28 Paesi: 503 milioni di persone), all’Unione monetaria (19 Paesi: 340 milioni), fino all’auspicata unione politica federale, per quelli – forse pochi fra i 28 – che ci staranno. Cosa che, purtroppo, non pare interessi l’attuale governo italiano.

Antonino Spadaro è ordinario di diritto costituzionale presso l'Università Mediterranea di Reggio Calabria

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