Avvenire di Calabria

Il Garante regionale per i diritti dei detenuti, Luca Muglia, suggerisce una riflessione che coinvolge un po’ tutti e riguarda del linguaggio utilizzato per etichettare quanti vivono la condizione detentiva

Detenuti, il Garante Muglia: «No a vendetta sociale, basta a etichette»

Lunga ed articolata intervista sui punti di "luce" di un bilancio in chiaroscuro, quello che emerge dalla Relazione annuale del Garante esposto nei giorni scorsi a Palazzo Campanella

di Federico Minniti

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Il Garante regionale per i diritti dei detenuti, Luca Muglia, suggerisce una riflessione che coinvolge un po’ tutti e riguarda del linguaggio utilizzato per etichettare quanti vivono la condizione detentiva. Superare la logica dello stigma è un buon viatico per favorire il fiorire di vite davvero nuove

L'intervista al Garante per i diritti dei detenuti della Regione Calabria, Luca Muglia

Nei giorni scorsi si è tenuto il consueto Rapporto del Garante regionale per i diritti dei detenuti in Calabria sull’anno trascorso nelle carceri calabresi. Abbiamo voluto approfondire col Garante in carica, l’avvocato Luca Muglia, alcuni aspetti emersi dalla sua relazione in questa intervista.

Carceri in Calabria, un resoconto in chiaroscuro. Focalizziamoci sulle luci: c’è uno sfondo valoriale che le tiene insieme?

Direi di sì. Le carenze di organici (polizia penitenziaria, funzionari giuridico-pedagogici e mediatori culturali) recano danno alle condizioni delle persone detenute, aggravando non poco le situazioni di vulnerabilità. Il sistema penitenziario, però, prova a reagire e cerca di sopperire alle mancanze. Esiste poi un universo invisibile, sommerso, di persone di buona volontà le quali, a diversi livelli e su diversi piani, hanno preso a cuore il pianeta carcere spendendo la propria vita per i più fragili. Le difficoltà, specie quelle dei detenuti con patologie psichiatriche, costringono le varie professionalità a svolgere compiti e mansioni che non gli appartengono cui, tuttavia, riescono a far fronte ricorrendo a doti personali o ad una spiccata sensibilità.


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Tra le iniziative positive ci sono molte che fanno riferimento al mondo dell’istruzione e del lavoro. Ci può dettagliare meglio questi interventi?

I progetti di istituto racchiudono un’offerta sufficientemente articolata. Buona l’attività di taluni corsi professionalizzanti volti all’acquisizione di competenze nel mondo del lavoro e dei diversi laboratori artigianali. L’offerta scolastica, pur con qualche lacuna, appare rafforzata. La proposta didattica dei Poli Universitari Penitenziari è ben strutturata. La varietà delle offerte formative assume una importanza fondamentale, direi decisiva. Quando alle persone detenute si offrono occasioni di formazione e di crescita i risultati non tardano ad arrivare. Lavoro, formazione, scuola e università rappresentano un terreno fertile in cui le probabilità che la persona in conflitto con la legge maturi una diversa percezione di sé sono oggettivamente più elevate.

Nella Relazione annuale lei fa riferimento a un’interlocuzione avviata con la Conferenza episcopale calabra (Cec) all’inizio del suo mandato. In che modo, secondo lei, la Chiesa può sostenere i germogli di cambiamento nel contesto della comunità penitenziaria?

Nel corso della mia audizione dinanzi alla Conferenza episcopale calabra ho proposto a monsignor Fortunato Morrone ed ai vescovi calabresi un rapporto di collaborazione in favore delle persone detenute volto ad assicurare un sistema di accoglienza e di accesso ai programmi di giustizia riparativa (autori/vittime di reato). In tale ottica le diocesi, le comunità parrocchiali e le Caritas possono fornire un contributo importante. Un ruolo significativo riveste anche la funzione sociale dei Cappellani che operano negli istituti penitenziari calabresi. Di tutto ciò ho parlato anche con monsignor Francesco Savino, delegato alla Pastorale penitenziaria della Conferenza episcopale calabra e vicepresidente della Cei. Mi auguro che, in futuro, si possa concertare un piano efficace di intervento.



Altro tema importante è il cambiamento di narrazione sui detenuti e, in questo, conta molto anche il linguaggio utilizzato. Qual è lo sforzo necessario in questa direzione?

Nei mesi scorsi ho attivato una campagna di sensibilizzazione tesa al superamento dei pregiudizi culturali e delle etichette che colpiscono i detenuti, coniando lo slogan “per un linguaggio non ostile dentro e fuori il carcere”. Occorre prestare attenzione al linguaggio, dalle relazioni di sintesi in cui viene illustrata la condotta del detenuto e il programma rieducativo alla terminologia adottata da mezzi di informazione e social. Le parole aiutano a cambiare, aggettivazioni infelici, luoghi comuni e stereotipi costituiscono un ostacolo ed alimentano una visione della realtà poco inclusiva in cui prevalgono i sentimenti di odio, di rancore o vendetta sociale. Alla presentazione della mia relazione annuale in Consiglio regionale era presente una rappresentanza di studenti del Liceo Scientifico “Da Vinci” di Reggio Calabria, dell’Istituto di Istruzione superiore “Familiari” di Melito Porto Salvo e dell’Istituto d’Istruzione Superiore “Pizi” di Palmi, che abbiamo invitato proprio con l’intento di coinvolgere le nuove generazioni sul tema carcere.

Per i cristiani è iniziato il tempo dell’Avvento, che messaggio si sente di porgere ai detenuti e ai loro familiari in occasione delle ormai imminenti festività natalizie?

Il messaggio è quello di stimolare una maggiore vicinanza e solidarietà alle tante sofferenze umane, esistenziali, fisiche e psicologiche. Nessuno è esente, ciascuno ha le sue prigioni e porta le sue catene. Se vogliamo che le persone che hanno sbagliato siano messe nelle condizioni di imboccare la strada del cambiamento serve un’inversione di tendenza. In ognuno di noi esiste il bene ma per “diventare ciò che siamo veramente”, come direbbe San Giovanni Paolo II, è necessario l’aiuto e il contributo di tutti. Ai detenuti e ai loro familiari auguro fin d’ora un Natale di pace e serenità, che possano trovare la vera luce nella loro vita.

La Colletta Alimentare dietro le sbarre

I detenuti delle Case Circondariali di Reggio Calabria e di Arghillà non si sono lasciati vincere in generosità. In occasione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare che si è tenuta sabato 18 novembre, i detenuti dei due plessi hanno risposto all’appello senza alcuna esitazione per contribuire anche loro alla raccolta di generi alimentari che si è svolta a livello nazionale.

Un gesto a dir poco commovente perché anche in un luogo come il carcere si è data la possibilità di praticare la carità verso i più bisognosi ma soprattutto perché gli uomini e le donne ristretti, per ovvi motivi, vivono già in una condizione di disagio e in molti casi di ristrettezze anche economiche.

Ma chi conosce bene l’ambiente carcerario sa bene che all’interno del carcere vige la regola elevata a un valore di aiutarsi gli uni gli altri che significa condividere quello che si ha con i propri compagni. Si arriva a condividere una semplice sigaretta o una bottiglia di acqua minerale fino a qualche genere alimentare o capo di abbigliamento.

Carità, attenzione e solidarietà verso gli altri e generosità sono principi che nella maggior parte dei casi vigono nelle relazioni personali tra i detenuti. Abbondante è stata la raccolta dei beni alimentari per la Colletta Nazionale espressione della generosità dei detenuti e delle detenute che saranno devoluti, tramite il cappellano, al Centro di Ascolto per gli immigrati della Parrocchia di sant’Agostino. Pasta, riso, scatolame, olio, merendine, biscotti, caramelle e altri generi alimentari finiranno nelle case e nelle dispense delle famiglie indigenti della nostra città che fanno fatica ad arrivare a fine mese.


PER APPROFONDIRE: Reggio Calabria, impegno per i detenuti: intesa arcidiocesi – carcere


Un grazie corale va ai detenuti e alle detenute dei due Istituti di Reggio Calabria e di Arghillà per il gesto di carità e di solidarietà che hanno dimostrato per questa iniziativa in coincidenza con il vangelo dell’ultima domenica dell’anno liturgico – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo – che riguardava proprio le sei opere di misericordia corporale: avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito, ero forestiero e mi avete accolto, ero malato e siete venuti e visitarmi, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.

Ma questa volta i carcerati si sono fatti prossimi ad una necessità esterna al carcere e la loro sensibilità è andata oltre le sbarre che li limita della loro libertà fisica ma che ha superato ogni aspettativa nella speranza che questo possa superare anche qualche pregiudizio nei loro confronti.

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