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Droghe, quell’assordante silenzio della politica

Luciano Squillaci

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In Italia la questione dipendenze è sempre più relegata ai margini del dibattito nazionale tra le diverse forze politiche. Sembra vi sia una sostanziale e generalizzata delega agli addetti ai lavori, che però, sia nel pubblico che nel privato sociale, sono sempre meno e sempre più soli. Eppure a leggere i dati ufficiali della Relazione annuale sulle droghe al Parlamento, a voler fare lo sforzo di capire, c’è da restare sconcertati. Le droghe non solo sono sempre più diffuse e pericolose, ma si evolvono con una rapidità straordinaria, a fronte di un sistema di contrasto fossilizzato ed arretrato di decenni. Se da un lato la cannabis e la cocaina rimangono le sostanze più diffuse, con una sempre più preoccupante recrudescenza dell'eroina, a queste si aggiungono le nuove sostanze, per lo più sintetiche, che hanno grande appeal soprattutto tra i giovani.

Oltre il 25% dei ragazzi delle scuole medie superiori dichiara di avere assunto almeno una volta una sostanza illegale e di questi circa il 30% non sa neanche che tipo di droga ha assunto.

Il sistema di contrasto, la rete dei servizi del pubblico e del privato sociale deve continuamente lottare per la propria sopravvivenza, facendo il possibile con risorse sempre più esigue ed all’interno di un quadro normativo arretrato ed inadeguato. Mentre il mondo della droga è quotidianamente in evoluzione, e negli ultimi 10 anni ha visto un mutamento enorme, nelle forme di dipendenza, nelle sostanze e persino nelle modalità di assunzione, gli operatori sono costretti ad operare con strumenti di intervento che fanno riferimento ad una normativa di quasi 30 anni fa, il DPR 309/90, che porta inevitabilmente ad “inseguire” il fenomeno senza mai poterlo raggiungere. Un sistema che disconosce il concetto moderno di “salute” e rimane invece ancorato a quello ampiamente superato di “malattia”, che impone interventi misurabili in termini meramente prestazionali ed economicistici, che pone al centro il “problema” invece che la “persona”. Un sistema strutturalmente incapace di leggere la complessità del fenomeno dipendenze, che invece necessita di interventi altamente qualificati e fortemente connessi ai bisogni mutevoli e variegati del territorio. Un sistema, pensato e strutturato molto prima della riforma del Titolo V della Costituzione e che si presenta oggi fortemente frammentato, con enormi differenze tra le varie regioni, sia in termini di risorse che, peggio, in termini di tipologia e qualità degli interventi di cura e riabilitazione. Ed a fronte di tutto ciò solo un assordante silenzio della politica.

Da quando è stato azzerato il fondo nazionale per la lotta alla droga, ormai oltre 10 anni fa, abbiamo assistito infatti ad un progressivo disinvestimento sulle politiche di prevenzione.

Un immobilismo rassegnato, certificato dalla ormai annosa assenza di una specifica delega politica sulle dipendenze. Una omissione che ha svuotato di significato lo stesso Dipartimento per le Politiche Antidroga, strumento di sintesi e coordinamento che oggi più che mia appare invece imprescindibile. Abbiamo la sensazione di una resa generalizzata di fronte al disagio ed alle dipendenze, normalizzati come inevitabili corollari della moderna società dello scarto. Ci sembra di vivere un’epoca rassegnata che altro non è che l’anticamera del disimpegno, mentre però la droga continua a mietere vittime sempre più numerose. Ecco perché intendiamo con forza chiedere un rinnovato impegno alle forze politiche che si candidano a governare il Paese nei prossimi anni.

Ed il primo impegno deve essere la riforma del DPR 309/90, una legge che ha avuto il merito di accompagnare e sostenere il sistema sino ad oggi, ma che è ormai ampiamente superata. Abbiamo bisogno urgente una riforma partecipata che esca dalla logica di cura della malattia e che si apra alla Comunità territoriale. Una riforma che tenga conto dei grandi mutamenti degli ultimi decenni, e che si ponga come reale strumento per il contrasto alle dipendenze, tutte le dipendenze, anche quelle cosiddette senza sostanza, comportamentali. Una riforma che sia anche capace, come la stessa Relazione al Parlamento richiede di fare, di tornare ad investire seriamente sulla prevenzione e sui processi educativi. Da quando è stato azzerato il fondo nazionale per la lotta alla droga, ormai oltre 10 anni fa, abbiamo assistito infatti ad un progressivo disinvestimento sulle politiche di prevenzione. Non può quindi stupire il quadro drammatico del consumo di sostanze, in particolare tra i giovani.

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