Avvenire di Calabria

I dati sull’emorragia generazionale: «Ma il 92,8% dei nostri laureati lavora dopo un mese dalla fine degli studi»

Ferrara: «Fuga dalla Calabria? Troppi gli stereotipi»

Davide Imeneo e Federico Minniti

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«Le risorse esistono, vanno solo valorizzate ». Ci accompagna con orgoglio nella presidenza del Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Scienze Umane (Digies). Un ufficio rinnovato all’insegna del «riuso» come ci spiega il direttore, Massimiliano Ferrara, da poco tempo alla guida del Digies dell’Università Mediterranea.

Come vive questa esperienza?

Ho avuto la fortuna di poter restare a prestare il proprio servizio a Reggio Calabria. Questo lo ritengo un privilegio: molti miei coetanei o più giovani di me sono costretti a lavorare lontano da questa terra, depauperando la nostra Calabria.

Eppure l’ateneo sembra «in recessione».

L’Università in realtà è in crescita, nonostante i numeri apparentemente non ci confermano questo trend. Nell’analizzare i dati, occorre dare una lettura del calo congiunturale demografico, della grande emigrazione verso il nord del Paese e, addirittura, all’estero.

L’emorragia generazionale non sembra arrestarsi.

Prima di esplorare delle possibilità di portare i nostri figli lontani dalla nostra terra, almeno che non ci siano dei piani di fuga da parte della famiglia spesso orientato da un clima generale di sfiducia rispetto alla nostra città, è opportuno fare delle valutazioni serene e oggettive, senza farsi attrarre da ragionamenti stereotipati e massificati.

Secondo lei, da dove dovrebbero partire queste valutazioni?

Il corso di laurea magistrale “Economics” ha un placement, ossia una collocazione sul mercato del lavoro, a un mese dal conseguimento del titolo pari al 92,8% di persone che trovano stabilmente una prima occupazione. Si tratta dell’effetto congiunto di lavorare con numeri piccoli, ma dall’altra parte va sottolineata la grande competitività dei nostri ragazzi rispetto ai loro coetanei laureati in altre università italiane.

Come ricollocare, allora, l’Università reggina al centro del dibattito pubblico locale?

Occorre riconcepire l’Università come un avamposto di promozione culturale. Nel prossimo triennio, lavoreremo con tre macro-obiettivi: rafforzare l’offerta didattica, connettersi con le forze sane del territorio e internazionalizzare i corsi di laurea.

Connessioni col territorio. Come?

Fra poco riapriremo la sede di Palazzo Zani, i cui locali vorrei fossero condivisi con le associazioni culturali del territorio metropolitano. In tal senso, stiamo lavorando ai primi “Stati generali” nella nostra città. Così l’Università si apre ai players del territorio per promuovere la cultura della collaborazione interistituzionale.

Internazionalizzazione, altra sfida affascinante. Quali le strategie?

Abbiamo lanciato una call internazionale per avere dei visiting professor presso il nostro Dipartimento. Già sono arrivate delle domande molto prestigiose da parte di eminenti studiosi che vogliono venire a Reggio Calabria. L’obiettivo, appunto, è quello di novellare profondamente e internazionalizzare l’attività di ricerca.

Tante opportunità per una generazione, quella dei millennials.

Lo studente di oggi nasconde delle sorprese. È come la borghesia: la classe media è quasi scomparsa. I ragazzi passano da coloro che sono quasi indolenti ai discenti brillantissimi. Hanno delle personalità molto complesse con una ricchezza d’animo sconfinata. Come adulti, spesso, siamo incapaci di ascoltarli perché anche noi abbiamo dimenticato il ruolo importante che dobbiamo avere: ossia il saper ascoltare e cogliere le sfumature immensamente positive di chi ti sta di fronte.

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