Avvenire di Calabria

L'esperta: «Le recenti riforme precludono a un'ampia platea di persone la possibilità di integrarsi»

Giornata mondiale del Rifugiato, l’asilo ristretto «crea illegalità» [VIDEO]

E al Porto si rinnova l'impegno del Coordinamento diocesano sbarchi, ma «non è come nel 2013»

di Francesco Creazzo

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Oggi in tutto il mondo si celebra la Giornata mondiale del Rifugiato. Una giornata quest'anno dal sapore amaro: l'Italia e altri paesi dell'Unione europea e non solo, se da un lato hanno enormemente esteso la protezione dei rifugiati ucraini, dall'altro hanno varato riforme per comprimere il diritto alla protezione speciale di altre persone. Gettando interi gruppi nell'unica speranza del lavoro illegale.

L'intervista: «Comprimere l'asilo nega i diritti fondamentali e crea maggiore illegalità»

Micol Azzaro ha 30 anni ed è un’esperta in politiche delle migrazioni, laureata in Scienze internazionali con specializzazione in migrazioni all’università di Torino, diplomata alla Clinica Legale in Human Rights&Migration Law dello stesso Ateneo, ha una lunga esperienza diretta di assistenza ai richiedenti Asilo in un centro d’ascolto ed è attualmente un membro del team italiano della Ong Sos Mediterranee.

Dottoressa, si fa tanta confusione. Chiariamolo anche a chi non lo sa. Cos’è un rifugiato? Quale la differenza con una persona migrante?
Il rifugiato è una persona che usufruisce della Protezione internazionale, disciplina che deriva dalla convenzione di Ginevra che indica requisiti precisi per ottenere i vari possibili tipi di protezione. Le persone che hanno diritto alla protezione internazionale devono avere una storia di discriminazione a causa della cittadinanza di un certo Paese, della propria razza, religione, l’appartenenza ad un gruppo specifico o la loro opinione politica. Migrante, invece, è un termine-contenitore all’interno del quale ci sono tutti i tipi di persone il cui unico punto in comune è il fatto che si stanno spostando da un punto all’altro del pianeta. In Italia la disciplina sta nuovamente cambiando: abolizione della protezione speciale, nuovi ostacoli.

Qualcuno ha parlato di leggi criminogene…
La protezione speciale è un tipo particolare di protezione per persone che non possiedono quei cinque requisiti indicati prima ma sono considerate vulnerabili. La recente compressione e restrizione della platea di persone che può riceverla non aiuta l’integrazione: data l’interazione con la legge Bossi-Fini, si dà il paradosso che queste persone siano presenti sul territorio italiano, perdano la protezione speciale e diventino “clandestine”, di conseguenza l’integrazione diventa difficilissima. Sarà impossibile per loro trovare un lavoro regolare, acquistare una casa, tutte circostanze che spingono queste persone fuori da circuiti economici legali, spingendole verso quelli illegali.

Anche in Europa si torna a parlare di Asilo, ma la riforma di Dublino resta un tasto dolente…
Il regolamento di Dublino prevede che le persone che arrivano sul territorio dell’Unione debbano richiedere protezione nel paese di approdo. È chiaro che questo va a incidere pesantemente su Paesi come Italia, Grecia e Spagna. Senza una riforma reale e seria di questo regolamento, continuerà ad essere così e questi Paesi faranno ancora fatica politicamente a sostenere l’arrivo di queste persone, ci saranno sempre più alibi per la propaganda che parla di un’ “invasione” che in realtà non esiste.

Oggi si celebra la Giornata mondiale del rifugiato, se potesse lanciare un solo messaggio all’opinione pubblica, quale sarebbe?
Vorrei lanciarne due: innanzitutto bisognerebbe andare oltre la narrazione banalizzante e piatta che viene fatta della migrazione che è un fenomeno connaturato all’essere umano stesso, un fenomeno che non va combattuto ma gestito. Il secondo messaggio è che spesso, quando si parla di migranti e rifugiati, si parla di numeri, ma bisogna sempre ricordarsi che, invece, parliamo di esseri umani con i loro pregi, difetti, potenzialità ma soprattutto diritti.


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A Reggio di nuovo sbarchi, ma l'atmosfera non è quella del 2013

Da quando, pochi mesi fa, una nuova ondata migratoria ha investito le coste italiane, con un picco delle partenze da una Tunisia recentemente destabilizzata e che l’Europa e l’Italia sembrano voler “libificare”, le navi della Guardia costiera e le motovedette della Guardia di Finanza hanno ripreso a smistare nei porti del Sud Italia le persone in movimento attraverso il mare.

L'impegno del Coordinamento diocesano sbarchi si rinnova

Se quando sono in pericolo nel Mediterraneo si chiamano naufraghi, arrivati a terra riacquistano gli status legali che più si confanno alla loro storia personale e alla loro provenienza: migranti, rifugiati, richiedenti asilo. In nessun momento, però, smettono di essere umani. Lo sa bene Bruna Mangiola, tra le anime del Coordinamento diocesano sbarchi che, dal 2013 grazie all’appoggio e alla presenza di oltre 200 volontari, assiste le procedure di sbarco coordinate dalle autorità nel porto di Reggio. Certo, l’aria politica, dal 2013 ad oggi è enormemente cambiata, deteriorandosi. «È un momento particolarmente difficile - conferma Bruna Mangiola - molte cose sono cambiate da quando siamo nati come Coordinamento ben 10 anni fa. È cambiata la politica, sono cambiati gli indirizzi forniti dai ministeri agli enti di governo locale come la Prefettura, e questo ha delle conseguenze».

Sbarchi, Bruna Mangiola: «Situazione difficile»

«Ora - confessa la volontaria - è un po’ più difficile, noi siamo comunque presenti dove c’è necessità al porto e cerchiamo di accompagnare tutti, specialmente i ragazzi più giovani che, purtroppo, poi vengono alloggiati in strutture non troppo idonee come la palestra di Gallico, dalla quale scappano, andando spesso a finire per strada, magari cercando di rimettersi in viaggio per proseguire la propria avventura verso i Paesi del Nord Europa. A noi volontari fa male il cuore vedendoli “buttati” in un giardinetto fuori dalla stazione, magari in attesa di un treno, quando potrebbero essere integrati come accadeva anni fa».

Sbarchi, luogo d'incontro con l'umanità ferita

«Lo sbarco in sè - continua Bruna Mangiola - è sempre un momento toccante, ci dà occasione di accogliere questa umanità sofferente, di toccare con mano queste ferite e cercare di lenirle. Agli ultimi sbarchi è capitato che arrivassero ragazzi, minori nudi e adulti scalzi: noi ci siamo tolti giubotti e calze per darli a loro, cerchiamo umilmente di svolgere un servizio a tutto tondo, pieno. Pochi giorni fa è arrivato un ragazzo che era così stanco che si è addormentato nell’acqua, sul fondo del barcone su cui viaggiava. L’acqua lo ha intirizzito al punto che non riusciva più a muoversi. Alcuni arrivano sporchi, con la dignità calpestata. E quella è una ferita che è difficile da rimarginare. Molte di queste persone hanno diritto alla protezione internazionale e scappano perché non c’è alternativa. E noi invece paghiamo i dittatori per tenerli in trappola».

La voce di Moussa, il "cannavociano"

Moussa Cissokho ha 22 anni ed è reggino, anzi «Cannavociano», come dice lui. Almeno, lo è dal 2017, anno in cui, dopo aver attraversato il mare, arrivò al Porto di Reggio dove adesso vive, lavora, studia e ha una compagna. Originario del Senegal, non beneficia della protezione internazionale, ma ha viaggiato e conosciuto tante persone che ne avevano diritto e soprattutto ha potuto godere del sistema dell’accoglienza diffusa, poi smantellato dall’ex ministro degli Interni Salvini, che grazie alla generosità di chi lo ha accolto a Cannavò gli ha permesso di integrarsi perfettamente nella società reggina.

«Se sono dovuto partire io, figuriamoci i rifugiati»

«Sono partito dal Senegal e sono stato diversi anni in Libia, lavorando ed essendo autonomo, ma dopo qualche tempo ho capito che la crisi di quel Paese non mi avrebbe consentito di realizzare i miei sogni e così ho iniziato a raccogliere i soldi per viaggiare verso l’Europa», racconta Moussa. «Io ho avuto la fortuna di avere persone che si sono prese cura di me - sottolinea - e mi hanno permesso di integrarmi. Io non sono un rifugiato, non sono scappato da una guerra. Sono partito per avere più opportunità, per avere il diritto allo studio. Se sono dovuto andare via io, figuriamoci chi scappa da una guerra o una persecuzione. Penso che sia un diritto umano e non va compresso».

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