
Sciopero dei magistrati, anche a Reggio Calabria una manifestazione in difesa della Costituzione
Anche Reggio Calabria partecipa allo sciopero nazionale proclamato dai magistrati italiani per il 27 febbraio
Il giudice in servizio a Reggio Calabria è stato da poco eletto al Csm: Antonino Laganà si racconta ai nostri taccuini tra valori e impegno. Nel nostro viaggio nell'Universo Giustizia, poi, abbiamo sentito anche Marcello D'Amico, presidente del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.
I l giudice reggino Antonino Laganà è stato da poco eletto al Consiglio superiore della magistratura. Reggino, 46 anni, è giudice di Corte d’Appello presso il tribunale di Reggio Calabria, ha ricoperto ruoli giudicanti al dibattimento e cautelari al tribunale della libertà e all’ufficio del giudice per le indagini preliminari. Una lunga esperienza anche negli organi associativi della magistratura che, dopo alcuni anni di impegno, lo ha condotto a Palazzo dei marescialli, ad essere eletto in una composizione storica del Consiglio superiore, sulla quale grava la responsabilità di restituire all’immagine della magistratura il prestigio intaccato dagli scandali degli ultimi anni. E questo, passa per un tema caro a Laganà: la giustizia sociale, quella di prossimità.
Dottor Laganà, la Calabria vive un ulteriore calo economico, demografico e sociale. Come può la giustizia incidere in modo positivo?
Noi non dobbiamo scambiare la giustizia con il meccanismo di una sanzione che scatta automaticamente quando si viola una norma, magari penale. La giustizia è qualcosa di diverso, di più grande e di più propositivo: è anzitutto la valorizzazione e la conoscenza che ogni cittadino ha dei diritti e che lo Stato, per mezzo della giustizia si muove ed agisce per garantire questi diritti. Questo significa che più si ha la percezione che i diritti vengano garantiti, più il senso di giustizia è percepito. Se il cittadino si sente vicino allo Stato perché si sente tutelato, allora è più proattivo sia sul piano personale, magari con la ricerca o la creazione di un proprio lavoro, che sul piano familiare – è più propenso a creare un nucleo familiare - che sul piano sociale – è più aderente alle regole e vicino alle istituzioni. Il nostro ruolo è ricordare al cittadino che a partire dalla nostra Costituzione ci sono una serie di diritti inviolabili a cui il cittadino deve accedere e sui quali deve essere garantito. Più ci sarà questa prossimità, e quindi questa percezione, più il cittadino potrà, come dice l’articolo 3 della nostra Costituzione, “sviluppare” la sua personalità.
I NOSTRI APPROFONDIMENTI: Stai leggendo un contenuto premium creato grazie al sostegno dei nostri abbonati. Scopri anche tu come sostenerci.
Un compito arduo, con la presenza dei clan. Che effetto ha la presenza della ‘ndrangheta sul mercato del lavoro e più in generale sulla socialità?
Innanzitutto dobbiamo specificare che la peculiarità della ‘ndrangheta, rispetto alla criminalità comune, è quella di andare a intaccare la stessa struttura dell’ordine democratico e dei princìpi fondamentali su cui si regge lo Stato. E questo perché a livello ideologico i clan non riconoscono lo Stato, è una forma di criminalità antitetica alla nostra struttura repubblicana, e proprio per questo ha pesanti ripercussioni sul piano del lavoro, su quello economico e su quello sociale. La ‘ndrangheta innanzitutto, nei confronti delle persone che al suo interno vengono reclutate, si pone in contrasto diametrico con lo Stato: crea degli schiavi, dei meri esecutori di ordini. Una visione contrapposta a quella tracciata dalla Costituzione per i cittadini della Repubblica: persone libere, pensanti e non dipendenti dalle decisioni altrui. Questo produce effetti estremamente negativi sul piano sociale, economico e produttivo. Ma anche sul piano dell’equità sociale e tra sessi: la donna viene vista come sottoposta e sottomessa, in un ulteriore ciclo di sopraffazione e questo le impedisce anche di essere economicamente attiva. È per questo che la ‘ndrangheta viene definita come antistato, perché non conosce libertà, dignità, pluralismo.
Anche i giovani sono tra le categorie più colpite…
A mio avviso, il tema dei giovani è il cuore del problema. Vengono attratti per ignoranza, perché non capiscono di diventare schiavi, ma anche e soprattutto per bisogno economico. Noi non dobbiamo concepire la giustizia solo come repressione di una fase patologica: il vero compito della giustizia intesa come compito dello Stato è garantire la tutela dei diritti: tra cui una maggiore possibilità di lavoro, promozione sociale e formazione. Non è solo un problema culturale o solo economico: è un problema di formazione a tutto tondo, di formare individui liberi e di dar loro la possibilità concreta di esprimere questa libertà.
Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE
Dal novembre del 2020, Marcello D’Amico è il presidente del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, ha raccolto il testimone del conterraneo Roberto Di Bella, proseguendo ed espandendo, oltre all’attività ordinaria, anche i protocolli come Liberi di Scegliere che hanno rappresentato un modello per la giustizia nazionale.
Per D’Amico, quello del tribunale dei minori è un «ruolo nevralgico» per contrastare la presa che i clan di ‘ndrangheta hanno sulla società. «Il vero impatto della ‘ndrangheta sulla formazione dei giovani che non fanno parte di famiglie intranee all’organizzazione - ha spiegato il magistrato ad Avvenire di Calabria - è il sottotesto di regole intrinseche alla società in cui si vive. Ad esempio, qui si nota che denunciare o testimoniare ha un disvalore molto più forte rispetto ad altre parti d’Italia dove pure il fenomeno è presente. È chiaro che la presenza della ndrangheta ha un impatto su queste regole sociali che è senza dubbio negativo».
PER APPROFONDIRE: Tar Calabria, l'appello del presidente: «Servono più magistrati in organico»
Ma anche sulle possibilità di futuro per i giovani che poi, in molti casi, si avvicinano alle organizzazioni criminali nell’illusione di sfuggire al bisogno economico: «Anche questa è una realtà che riscontriamo quotidianamente attraverso le storie che passano sotto i nostri occhi - racconta D’Amico - È chiaro che un giovane, magari intriso di una sottocultura materialista che vede passare davanti il coetaneo di famiglia ‘ndranghetista e lo vede avere opportunità economiche che lui non può nemmeno sognare, la macchinina, l’orologio, il vestito firmato, si senta attratto da questa realtà. Il risultato è che questo diventa un meccanismo di reclutamento da parte delle cosche che conduce molti giovani calabresi a rovinarsi la vita».
«L’antidoto? - conclude il presidente del tribunale per i minorenni - Io sono convinto che passi dalle scuole, dalla cultura, ma anche dalla costruzione di alternative e di opportunità. Non è un caso che il protocollo “Liberi di scegliere” si chiami così, occorre che lo Stato sappia fornire alternative valide alla delinquenza».
Anche Reggio Calabria partecipa allo sciopero nazionale proclamato dai magistrati italiani per il 27 febbraio
Nasce a Villa San Giovanni il primo Ufficio di Prossimità del Distretto di Reggio Calabria.
L’analisi dei dati del vicario giudiziario del Teic, monsignor Varone evidenzia una crescente incapacità di discrezione di giudizio.