Avvenire di Calabria

«Le vite in carcere non sono vite di serie B», scrive nella nota inviata alle redazioni

Intervento del Garante sull’indagine per la morte di un detenuto

Agostino Siviglia

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Il 18 marzo 2018 alle ore 23:55, il Servizio Urgenza Emergenza Medica-118 di Reggio Calabria constatava il decesso in carcere del detenuto SALADINO Antonino (cl.87), ristretto presso l’istituto penitenziario di Reggio Calabria-Arghillà.

La morte del giovane detenuto è oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, che ne ha già disposto l’esame autoptico.

Nel rispetto ed in attesa dei doverosi riscontri delle indagini in corso, per intanto, mi preme segnalare con forza le drammatiche problematicità che investono l’istituto penitenziario di Reggio Calabria-Arghillà, rappresentando, fin d’ora, che nella qualità di Garante comunale dei diritti delle persone private della libertà personale intendo costituirmi Parte Civile nel relativo procedimento penale che dovrà fare chiarezza sulla morte del detenuto SALADINO Antonino.

Le vite in carcere non sono vite di serie B.

I detenuti non smettono di essere cittadini, e non ci si può voltare da un’altra parte sol perché le mura di un carcere non consentono di vedere cosa avviene al di là di quelle mura.

Il carcere non è una società a parte, ma una parte della società.

Verità e responsabilità devono e dovranno essere accertate, tanto fuori quanto dentro le mura del carcere.

E’ un dovere che si deve alla memoria del ragazzo deceduto, ai suoi familiari, alla collettività tutta.

In coscienza, prima ancora che per dovere istituzionale, invoco pertanto la più solerte attenzione e il più tempestivo intervento da parte delle SS.LL, per quanto di specifica competenza, affinché tragedie come quella odierna non abbiano più a verificarsi.

E certamente sarà necessario intervenire con cogenza e tempestività al fine di fronteggiare le complesse e complessive criticità che riguardano l’istituto penitenziario di Reggio Calabria-Arghillà.

 

In particolare, per l’ennesima volta, si segnala che presso il detto istituto:

 

  1. non è garantita la copertura infermieristica h24;

  2. il personale medico-sanitario è del tutto insufficiente;

  3. la specialistica necessita di implementazione;

  4. manca un gabinetto radiologico;

  5. manca, è sarebbe quanto mai opportuno, un referente sanitario esclusivo per il carcere di Arghillà;

  6. il personale di polizia penitenziaria è del tutto sotto organico.

 

A fronte di una popolazione detenuta di oltre 350 unità, per vero, è indispensabile garantire una copertura sanitaria adeguata, anche mediante mobilità ovvero attraverso la stipula di nuove convezioni per l’assunzione immediata di personale sanitario, prevedendo, come suddetto, un responsabile sanitario esclusivamente per il carcere di Arghillà.

Per quanto riguarda, inoltre, il personale di Polizia Penitenziaria, si evidenzia che la recente pianta organica prevede un numero di 160 unità, mentre attualmente sono in servizio solo 109 unità, con un deficit di ben 51 unità.

L’istituto di Arghillà è stato negli ultimi anni affollato di detenuti di provenienza da altre regioni; di detenuti extracomunitari; di detenuti tossicodipendenti; di detenuti cosiddetti sex-offender; di detenuti autori di reati comuni e di detenuti di alta sicurezza: in definitiva, si tratta di una frammistione di popolazione detentiva assai problematica da gestire, tanto sul versante securitario quanto su quello trattamentale che, considerate le carenze suddette, finisce per produrre inevitabili e drammatiche disfunzioni.

Nelle ultime settimane si sono verificate, infatti, due differenti proteste da parte dei detenuti, che solo il buon senso delle parti in causa ha evitato che degenerassero ulteriormente.

Fino a quando, però, una simile garanzia, a condizioni invariate, potrà essere assicurata?

L’ultimo tragico episodio della morte del giovane SALADINO Antonino deve interrogarci tutti e chiamarci tutti all’assunzione delle rispettive responsabilità.

Non si dovrebbe morire così.

E, tuttavia, ritengo responsabile, prima di giungere a qualsivoglia affrettata conclusione, attendere i risultati delle indagini da parte della locale Procura della Repubblica.

Senza smettere di invocare, beninteso, l’immediato intervento di chi di dovere per risolvere le gravi problematiche sanitarie evidenziate; adeguare le carenze di personale di Polizia Penitenziaria; ripristinare una condizione dignitosa di vivibilità all’interno dell’istituto penitenziario di Reggio Calabria-Arghillà.

Per parte mia, continuerò a vigilare con la massima attenzione, perché la situazione carceraria di Arghillà lo richiede, e la mia coscienza personale ed il mio dovere istituzionale me lo impongono.

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