La provocazione. Caso Cucchi, se Giovanardi avesse ragione
Fanno discutere le parole pronunciate dall’ex senatore Carlo Giovanardi ai microfoni del programma radiofonico ''La Zanzara''
Francesca Chirico *
Fanno discutere le parole pronunciate dall’ex senatore Carlo Giovanardi ai microfoni del programma radiofonico “La Zanzara” sulle nuove rivelazioni del caso Cucchi, che hanno visto il carabiniere Francesco Tedesco accusare i suoi colleghi del pestaggio del giovane romano. «Non devo chiedere scusa alla famiglia Cucchi, perché dovrei farlo? La prima causa di morte di Stefano Cucchi è stata la droga, bisogna chiedere scusa alle guardie penitenziarie assolte dopo 6 anni di calvario», ha suggerito l’ex esponente di Forza Italia.
Permettetemi di essere provocatoria: la verità è che ha ragione Giovanardi. Stefano è morto «per la droga». Mi spiego meglio. Stefano è morto perché era un drogato, un piccolo spacciatore, uno scarto.
Una nullità per tanti tra quelli che lo hanno incrociato. Era solo un drogato, questo è il motivo della mostruosa catena di omissioni che lo ha portato tumefatto sul tavolo dell’obitorio. La causa della morte di Stefano e di tanti altri è proprio la droga, perché noi adulti non ci pieghiamo a fasciare le ferite dei giovani che sbagliano, non li vogliamo rieducare. Solo punire. Non consideriamo la loro vita e la loro dignità in sé stessa. Solo il peso specifico nella scala sociale e il livello di produttività. Al caro Giovanardi bisognerebbe dire che non si può morire «per la droga», e non si può morire per droga quando sei affidato alle strutture dello Stato.
Al caro Giovanardi vorrei dire che chi denuncia i violenti non infanga l’Arma dei Carabinieri. La infanga chi nasconde la verità sui violenti confondendoli e mimetizzandoli fra le fila dei militari onesti.
Se mai avrò un figlio e se dovesse sbagliare, disgraziatamente fumare uno spinello, assumere delle droghe o provocare un agente, mi aspetto e prego che quell’agente lo guardi nella sua dignità di persona, vada oltre il suo sbaglio e invece di restituirmelo «morto per la droga», decida di svegliarmi nel cuore della notte per dirmi «Signora, suo figlio è qui con me, al sicuro. Venga a prenderlo e lo aiuti a rimettersi in carreggiata». Perché, non dimentichiamo, lo Stato è il primo educatore.
C’è un Sinodo dei giovani che si è appena aperto, c’è una comunità di adulti che educano e che sono chiamati a crescere nella capacità di essere compagni di strada anche dei giovani che ci chiudono la porta in faccia perché sono troppo arrabbiati. Adesso tocca a noi adulti, perché gli “scarti” non hanno altri che accolgano questo rancore. In questo momento di grandi proclami ed intransigenze siamo forse gli unici a potere incontrare le loro vite attraversate da ferite e resistenze e che chiedono solo di essere ascoltate, comprese, amate.
* vice presidente di Ac per il Settore Adulti (Reggio – Bova)