
“Caos a Broadway” va in scena al Teatro San Bruno
Lo spettacolo è prodotto da Calabria dietro le quinte, in collaborazione con la compagnia Blu
Il lavoro come opportunità di contrasto alla criminalità, ma anche il lavoro che dona dignità alla persona, secondo un concetto che sposa la prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa. Il presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, ha partecipato ad un convegno sul tema svolto proprio a Reggio Calabria e promosso dalle stesse Acli. Abbiamo approfittato della sua presenza in riva allo Stretto per un’intervista.
La pandemia è stato un periodo brutto per tutti. Insieme a tutta la società italiana, anche il mondo del terzo settore ha sofferto. Le Acli hanno comunque continuato ad operare in trincea, erogando servizi sociali ai cittadini, in particolar modo per supportarli in questo periodo difficile. Seppur limitate, le attività dei nostri circoli non si sono mai fermate, intercettando bisogni e necessità emersi negli ultimi due anni.
Ci lecchiamo un po’ le ferite, però stiamo ripartendo più rinvigoriti di prima e speriamo davvero che questo brutto virus non torni con la stessa violenza di prima.
La pandemia è stato purtroppo una lente d’ingrandimento sullo stato del mondo del lavoro in Italia, che oggi risulta suddiviso in più strati: chi gode di un certo grado di protezione, chi ha poche protezioni, chi non ne ha per nulla. Tutto questo si sta ripercuotendo sulla nostra società. Dalla condizione di una ripresa forse troppo veloce, si è improvvisamente tornati ad una situazione economica molto grave, non ancora recessiva, ma che di fatto colpisce le tasche di tutti gli italiani e in modo particolare l’economia reale.
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Quando ti aumenta la benzina, la rata del mutuo, il costo della pasta, questo ci fa capire che c’è chi ancora è protetto e chi non è protetto. Il problema dell’Italia sono le disuguaglianze e si parte dalla distribuzione del reddito. C’è chi guadagna troppo e chi, anche in questi anni, ha guadagnato troppo e chi invece pur avendo un lavoro, pur facendo sacrifici, non riesce a mantenere la propria famiglia. La prima cosa da fare è andare a individuare quelle che sono le sacche di mancata formazione di preparazione al mondo del lavoro. Perché il lavoro oggi c’è, ma forse non ci sono le persone preparate a svolgere determinati mestieri. In questo contesto si pone anche un problema di legalità che non riguarda soltanto il Sud: il lavoro a basso costo che non produce una crescita omogenea dell’economia e di conseguenza degli stessi posti di lavoro.
Non ci dobbiamo rassegnare. Io sono figlio di un immigrato. Mio padre è pugliese trapiantato in toscana per motivi di lavoro. Negli ultimi cinquant’anni, però, sono cambiate molte cose. Basti pensare che ci sono zone del Mezzogiorno che ce l’hanno fatta dando fondo a quella che è la miniera rappresentata dalla cultura e dalle bellezze naturali: di tutte quelle potenzialità che un territorio come questo calabrese ha. Oggi siamo di fronte a un nuovo paradigma. Dovremmo misurarci con un’economia più attenta alle questioni ambientali e circolare. Proprio per questo credo che sia possibile tornare effettivamente a lavorare nel Mezzogiorno, potervi restare e contribuire, allo stesso tempo, ad aumentare la qualità di vita del territorio.
È la nostra speranza, ma anche un po’ la nostra angoscia convincere i giovani a un impegno associativo. Dire a un ragazzo di fare volontariato quando deve cercare un lavoro non è facile. Però i giovani hanno delle risorse che a volte stupiscono ed è proprio grazie al loro contributo che le Acli si stanno innovando e rinnovando. Bisogna saperli coinvolgere, in quanto sono molto attratti e sensibili alle questioni sociali. Fondamentale è evitare che i nostri ragazzi rimangano “chiusi in sacrestia”, come accade ad esempio in alcune parrocchie, dove si ha quasi il timore di vederli “scappare” o affrontare il mondo. Serve una rinnovata alleanza tra parrocchie e mondo delle associazioni che avranno tanti difetti, ma sicuramente aiutano a guardare oltre e ad impegnarsi per il bene comune.
La nostra società e non soltanto a Reggio è una società chiusa perché ha paura. Come si ha ancora timore per lo straniero che viene nei nostri territori, c’è paura di affrontare condizioni quali l’illegalità o le mafie. Ma anche di intraprendere azioni che contribuiscano al riscatto delle comunità. Altra paura è che i nostri giovani vadano via. Il nostro è un messaggio semplice: la società non deve avere paura, deve avere coraggio.
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Il coraggio parte dal cuore, non dalla mente e ti proietta oltre. Noi crediamo che con coraggio, intelligenza e abnegazione, attraverso la testimonianza di una società civile impegnata, promuovendo quelli che sono i diritti e i doveri, andiamo a colpire quelle fragilità che possono eliminare una illegalità a volte sommersa, ma che è diffusa.
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