
Educare alla speranza nel tempo del “digitale umano”
Da papa Leone XIV agenda per il prossimo decennio. Al centro: persona, pace e digitale

Nella Sala Clementina gremita dai presuli della Conferenza episcopale italiana, Papa Leone XIV ha consegnato ai vescovi un’agenda pastorale scandita da quattro verbi – annunciare, pacificare, umanizzare, dialogare – e da un sigillo: la collegialità con Pietro. Il Cardinale Matteo Zuppi, aprendo l’incontro, ha rinnovato l’“obbedienza, fraternità e amicizia” dell’episcopato al Papa, assicurando l’impegno a «una Chiesa italiana inquieta, vicina agli abbandonati» e libera da «ogni surrogato di potere».
Nel suo saluto introduttivo, il Cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, si è rivolto a Leone XIV con toni di «obbedienza, fraternità e amicizia», richiamando quella «speciale sintonia» che, fin da Paolo VI, lega la Chiesa italiana al Successore di Pietro. Citando Giovanni Paolo II – «Siamo i vescovi di questa Chiesa; tutti insieme lo siamo, voi e io» – Zuppi ha riconosciuto nel primato petrino la garanzia di collegialità e sinodalità e ha portato simbolicamente con sé l’intero popolo di Dio: preti, consacrati, laici impegnati nel Cammino sinodale avviato nel 2021. Ha rievocato l’invito di Francesco a Firenze 2015 a «puntare all’essenziale, al kerygma», liberando la Chiesa da «surrogati di potere, d’immagine, di denaro», e ha rilanciato l’immagine di una Chiesa «inquieta», vicina agli abbandonati, «lieta col volto di mamma» pronta a «innovare con libertà» . In un passaggio denso di attualità, a ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, Zuppi ha assicurato al Pontefice il sostegno dell’episcopato italiano nel suo impegno personale a «impiegare ogni sforzo perché la pace si diffonda», suggellando la comunione dei vescovi con il Papa e la loro disponibilità a servirlo nella missione evangelica.
«La storia della Chiesa in Italia evidenzia il particolare legame che vi unisce al Papa», ha ricordato Leone XIV, citando lo Statuto della CEI che qualifica questa comunione «in maniera peculiare». Un legame, ha insistito, che si nutre di collegialità «tra voi e con il successore di Pietro», secondo il Concilio Vaticano II.
Questa peculiarità, spiega il Pontefice, affonda le radici nel Concilio Vaticano II, che vide i vescovi italiani cooperare strettamente con Paolo VI nell’applicazione delle riforme e nell’aggiornamento della pastorale. L’oggi chiede di non considerare tale comunione un «privilegio protocollare», ma un criterio di discernimento: le scelte pastorali, anche le più locali, vanno costantemente “respirate” nel clima ecclesiale che nasce dall’intesa con Pietro. Perciò il Papa invita la CEI a «nutrire la collegialità tra voi e con me», intensificando consultazioni, visite “ad limina”, sinergie nei dicasteri della Curia e, soprattutto, percorsi sinodali che riflettano la voce delle Chiese particolari senza smarrire il sensus Ecclesiae universale.
Collegialità e comunione, insiste Leone XIV, sono dimensioni mutuamente implicate: la collegialità rende visibile la fraternità dei vescovi che, in quanto tali, agiscono sempre «cum Petro et sub Petro»; la comunione con il Papa, a sua volta, protegge la Conferenza dal rischio di un’autosufficienza che la trasformerebbe in “organismo gestionale” più che in segno sacramentale di unità. In questo orizzonte il Pontefice chiede di rafforzare strumenti di corresponsabilità – dai Consigli episcopali alla Consulta nazionale per il Cammino sinodale – così che la CEI possa «riflettere, proporre e decidere in unità di spirito nella multiformità dei carismi».
Leone XIV colloca «uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede» al vertice dell’agenda pastorale: occorre “porre Gesù Cristo al centro” e, nella scia di Evangelii gaudium, aiutare ogni persona «a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo» . In un tempo segnato da “grande frammentarietà”, il Papa indica il ritorno «alle fondamenta della nostra fede, al kerygma», come «primo grande impegno che motiva tutti gli altri»: portare Cristo «nelle vene dell’umanità» – espressione che echeggia l’enciclica Humanae salutis – e farsi eco della testimonianza apostolica: «Ciò che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1,3).
Questa scelta richiede, spiega il Pontefice, di discernere “i modi in cui far giungere a tutti la Buona Notizia”: pastorale di “uscita” capace di intercettare i più lontani, rinnovamento della catechesi, creatività nei linguaggi, uso intelligente dei media. Il kerygma diventa così criterio di verifica delle strutture ecclesiali, dei piani pastorali e persino delle priorità economiche: tutto dev’essere ordinato a “dire Gesù in modo vivo e credibile”.
“Ripartire dal kerygma” non è uno slogan spirituale, diventa, semmai, un orizzonte missionario concreto: evangelizzare prima di organizzare, testimoniare prima di pianificare, ascoltare prima di parlare. È la condizione – suggerisce Leone XIV – perché ogni altro impegno della Chiesa italiana, dalla pace alla dignità umana, trovi radici e slancio nel Vangelo vivo e vissuto.
Sul tema della pace Leone XIV richiama la Chiesa italiana a farsi «artigiana» del dono pasquale del Risorto – «La pace sia con voi!» – nei «luoghi della vita quotidiana», dalle parrocchie alle periferie urbane e alle aree interne del Paese. Lì dove le relazioni sociali si incrinano, il Papa vuole una comunità «capace di riconciliazione» che traduca l’esortazione paolina «vivete in pace con tutti» (Rm 12,18) in percorsi di educazione alla non-violenza, iniziative di mediazione locale e progetti di accoglienza capaci di trasformare la paura in incontro. Egli chiede «che ogni Diocesi promuova» tali cammini affinché «ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, si pratica la giustizia e si custodisce il perdono». La pace, avverte, non è un’utopia spirituale, ma «una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione» e reclama «una presenza vigile e generativa» della Chiesa nel mondo.
«Ogni comunità diventi una casa della pace», ha esortato il Pontefice, invitando le diocesi a percorsi di educazione alla non-violenza e mediazione dei conflitti nei quartieri, nelle periferie e nelle aree interne. «La pace – ha sottolineato – non è un’utopia spirituale, ma una via fatta di gesti quotidiani che intrecciano pazienza e coraggio».
Intelligenza artificiale, biotecnologie, social media: tecnologie che «rischiano di appiattire l’umano», ha ammonito Leone XIV. Per questo chiede che la «visione antropologica» diventi bussola di ogni discernimento pastorale, ricordando che «la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero».
Leone XIV non considera il dialogo un’aggiunta facoltativa alla pastorale, ma lo «raccomanda in particolare» come chiave di volta dell’azione ecclesiale, invitando parrocchie, associazioni e movimenti a diventare spazi strutturati di ascolto intergenerazionale, luoghi dove il confronto con mondi diversi e la cura delle parole siano prassi quotidiana. Il Papa spiega che solo là dove le persone si sentono davvero ascoltate nasce una comunione reale e, dentro quella comunione, l’annuncio cristiano acquista credibilità; il dialogo, aggiunge, è la prima difesa dalla polarizzazione che lacera il tessuto sociale e trasforma le comunità in «case della pace» capaci di disinnescare l’ostilità sul nascere.
Tale stile è inseparabile dalla sinodalità: «Restate uniti, perché la sinodalità diventi mentalità, processo decisionale e modo di agire», insiste il Pontefice, delineando un metodo ecclesiale in cui le differenze non si spezzano ma si incontrano in un discernimento condiviso. Coltivare una cultura del dialogo implica dunque l’avvio di laboratori di ascolto permanente in ogni diocesi, la formazione alla “cura della parola” per sacerdoti e laici e la creazione di alleanze sul bene comune che permettano alla Chiesa di mediare con le istituzioni senza perdere la libertà profetica che le è propria. In questa prospettiva il dialogo diventa il tessuto connettivo che sostiene l’annuncio del Vangelo, la tutela della dignità umana e la costruzione della pace: senza di esso la Chiesa rischia di parlare soltanto a se stessa, con esso torna a essere casa ospitale in cui la fraternità anticipa il Regno di Dio.
«Restate uniti», ha raccomandato Leone XIV, affinché la sinodalità diventi «mentalità, processi decisionali e modi di agire». E subito dopo: «Guardate al domani con serenità e non abbiate timore di scelte coraggiose. Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di servire i poveri».
Il Papa ricorda che il Cammino sinodale italiano, avviato nel 2021, è già un laboratorio privilegiato: nelle assemblee diocesane e nei “cantieri” pastorali si sperimenta un ascolto reciproco che trasforma conflitti latenti in occasioni di riconciliazione. Sinodalità, insiste, non è un evento ma una forma ecclesiale permanente che richiede stili relazionali nuovi (parola condivisa, corresponsabilità, verifica comunitaria) e strumenti giuridici adeguati (consigli pastorali realmente deliberativi, processi di rendicontazione trasparenti).
Dentro questo quadro il Pontefice pronuncia l’espressione «scelte coraggiose». Chiede di rischiare strade inedite per annunciare il Vangelo ai margini urbani, di ridisegnare confini parrocchiali quando le comunità si spopolano, di riconvertire beni ecclesiastici in spazi di accoglienza per chi è senza tetto o rifugiato. Invita a “non temere” di ridurre incarichi duplicati e di valorizzare figure laicali – soprattutto giovani, donne e famiglie – in ruoli di decisione pastorale, «perché nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di servire i poveri».
Il Papa ha ricordato la «sana cooperazione con le Autorità civili» che spetta alla CEI, ma ha avvertito: la profezia non esige «strappi», bensì «scelte coraggiose» capaci di farsi carico delle sfide di secolarismo e crisi demografica.
Annuncio del Vangelo, pace, dignità umana e dialogo: queste, per Leone XIV, sono le «coordinate» che faranno della Chiesa in Italia «un segno del Regno di Dio». L’udienza si chiude con la benedizione del Pontefice e con l’immagine di un episcopato chiamato a essere «artigiano di riconciliazione» e «sentinella del futuro». Una Chiesa che sa parlare il linguaggio della misericordia, senza rinunciare alla lucidità profetica e alla tenerezza del Vangelo.

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