Avvenire di Calabria

Iniziano oggi a Gallico superiore i festeggiamenti in onore della Madonna della Grazia

Madonna della Grazia, a Gallico il ricordo di padre Aurelio Cannizzaro

L'occasione per ricordare la carismatica figura di padre Aurelio Cannizzaro, rettore del Santuario dal 1967 al 1992

di Redazione Web

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Iniziano oggi a Gallico i festeggiamenti in onore della Madonna della Grazia. Il venerato quadro - per una settimana affidato alla comunità parrocchiale di Maria Santissima di Porto Salvo - farà ritorno in santuario (a Gallico superiore). La messa delle 19 darà il via ai festeggiamenti che si concluderanno martedì 22 agosto.

Gallico, il Santuario della Madonna della Grazia e la figura di padre Aurelio

La festa della Madonna della Grazia è un evento di fede e devozione molto sentito a Gallico, quartiere a nord di Reggio Calabria, legato indissolubilmente al Santuario e alla carismatica figura di colui che per diverse generazioni ne è stato il rettore, oltre che il fondatore del Parco della Mondialità, padre Aurelio Cannizzaro.


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Alla sua figura è ispirato il racconto dell'altrettanto compianto scrittore, scomparso lo scorso aprile, Giuseppe Notaro dal titolo "Il vecchio missionario". Un racconto che ben raffigura il profilo dell'indimenticato sacerdote, missionario saveriano e che qui di seguito vi proponiamo.

Il vecchio missionario

Il parco comprendeva uno spazio dedicato ai più piccoli con tanti giochi, un campetto da calcio e un bel viale. Un laghetto con delle anatre abbelliva quel luogo incantevole. La gente era solita andarvi per ritemprare lo spirito, ma soprattutto per far divertire i propri bimbi. Non mancavano mai le comitive, la domenica, che con la loro presenza diffondevano nell’aria tanta gioia e allegria. Era proprio un luogo bellissimo.

Un giorno, padre Francesco udì bussare alla porta. Era un giovane che dall’aspetto sembrò essere di ottima famiglia.

- Salve, padre! - gli disse il giovane. - Sono qui di passaggio e vorrei parlare un po’ con voi. Sono rimasto attratto dalle bellezze di questo posto ed ho pensato di conoscere l’autore.

- Sono io! - rispose il vecchio missionario.

Subito, condusse il giovane all’interno del parco e sedettero entrambi in una panchina alberata.

L’aria fresca e il garrire delle rondini davano un senso di serenità al luogo. Un vociare di bimbi faceva da eco al paesaggio. Tutto ciò invitò alla conversazione.

- Qual è il tuo nome? - chiese il religioso.

- Mi chiamo Adalberto - rispose il giovane.

- Dunque, Adalberto: cosa vorresti sapere?

- Vorrei che mi diceste di ciò che è stata la vostra vita.

Immagino che abbiate molto da raccontare!

Il vecchio missionario atteggiò un sorriso e cominciò:

- Di me non ho molto da dire... Posso solo dirti che la mia vita è stata sempre dedicata al servizio del Signore e dei bisognosi... Sono stato missionario nelle terre più ribelli dell’Africa e dell’Asia, dove ho visto patire la fame e la sete. Quanta tristezza ho trovato nei volti di quella gente e di quei poveri bambini! Ma ho continuato a lottare, adoperandomi alla loro conversione secondo le intenzioni del Vangelo. E, a dire il vero, la mia parola non è stata vana!

- Come avete fatto a superare le difficoltà di quella gente e di quei luoghi? - chiese Adalberto.

- Non è stato per nulla facile! Ma con l’aiuto di Dio...

- Eppure, avreste potuto scegliere una vita diversa.

- Una vita diversa? Ma pensaci bene, qual è la vera vita? - ribatté il vecchio missionario, continuando: - Ricorda che dove imperano egoismo ed interesse, dove vi è consumismo esasperante, non vi può essere una vera vita. E neanche amore. Basta guardarsi intorno, per rendersi conto di come il mondo sia cambiato. In peggio, direi. Separazioni facili con tutte le conseguenze per i figli, che devono patire per l’egoismo dei loro genitori! Telefonini a vista d’occhio divenuti come dei giocattoli, il cui uso eccessivo finisce per soffocare la nostra vita! Per non parlare di tante altre cose che hanno fatto perdere all’uomo la sua identità, quella umanità che lo ha sempre distinto e lo avvicina a Dio. Tutto ciò contrasta con la miseria e la sofferenza di chi lotta per sfamarsi. Dunque, qual è la vera vita?

Il giovane Adalberto lo ascoltava, pensando a quanta contraddizione vi fosse tra lui, giovane agiato, e quel povero missionario. Pensava alle ingiustizie di questo mondo.

- Ma anche facendo una vita normale, da buon padre di famiglia - continuò il religioso, - si può essere vicini alla vera vita! In questo parco vengono tante persone, felici di condurre i propri bambini, e tanti giovani come te. Anche loro gioiscono dei doni del Signore.

Poi il vecchio missionario condusse Adalberto in giro per il parco.

- Questi giochi li ho fatti realizzare per i più piccoli - disse. - E questi altri per i più grandi. Tutti devono divertirsi. Vi sono spazi attrezzati per le colazioni “al sacco” e una sala per le riunioni e gli esercizi spirituali.

- Cos’è quel viale? - chiese il giovane.

- Quel viale rappresenta la speranza nella fede! - rispose il vecchio missionario. - Qui troverai l’immagine di Cristo. In ogni angolo di questo parco vi è rappresentato il mondo intero.

Adalberto osservava tutte quelle meraviglie che l’umile sacerdote aveva creato con la solidarietà della gente e con i suoi sacrifici. Si chiese quanta gioia doveva esserci nel cuore di costui.

- Vedi questo vestito che ho indosso? - continuò il vecchio religioso, facendo cenno al suo abito. - È dono della gente.

- Ma è rattoppato! - osservò il giovane.

- È pur sempre un dono! - esclamò.

Percorsero poi la navata del santuario. Padre Francesco si soffermò davanti al quadro della Madonna posto nell’altare maggiore, restando a pregare. Adalberto osservò l’immagine nella penombra. Infine si incamminarono verso l’uscita.

- Adesso dovrò salutarti, Adalberto - disse il vecchio missionario.

Allungò la mano verso il giovane per salutarlo e si allontanò.

Adalberto rimase solo nel silenzio di quel luogo santo. Ripensò alle parole del missionario. Prima di andar via, volle soffermarsi presso un piccolo altare, ove sul marmo, situato accanto, stava scritto: Padre Francesco. E, a seguire, un passo del Vangelo.

Il corpo del missionario con cui aveva parlato un momento prima, era racchiuso in quel marmo accanto al piccolo altare.

Adalberto rimase senza parole. Com’era possibile? si era chiesto. Il vecchio missionario continuava a vivere in quel mondo che aveva creato.

Chi era padre Aurelio Cannizzaro, il parroco della Mondialità

Visitando il Santuario della Madonna della Grazia di Gallico, l’attenzione è attratta da una tomba su cui risalta il motto: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura». Evidentemente appartiene ad un missionario che ha meritato di trovare posto in una Chiesa. Trattasi del saveriano padre Aurelio Cannizzaro, in omaggio del quale Oreste Arconte ha scritto un recital dal titolo emblematico Vinsi perché senz’armi.

La "difficile" missione nella Cina comunista

L’epoca missionaria di padre Cannnizzaro ha assunto dimensione indimenticabile a Pechino, nella Cina comunista del timoniere Mao Tse Tung, da dove, durante la dura repressione antireligiosa della rivoluzione culturale, è stato espulso con l’accusa di «essere entrato in Cina sotto pretesto di predicare la Religione, ma col vero scopo di trafficare ai danni del popolo».

Costretti a partire in meno di mezz’ora, i tre saveriani scrivono: «Ci hanno cacciati come cani. Partiamo verso l’ignoto, tristi ma non accorati». Di fronte alle lacrime dei cristiani accorsi per salutarli, un poliziotto affermava: «Eppure bisogna riconoscere che la gente vi voleva bene ». Erano stati nell’impero appena cinque anni, dal 1948 al 1953.

Con i "primitivi" delle Mentawai

Nel settembre del 1953 si apre per i saveriani la porta indonesiana del dittatore suharto. Padre Cannizzaro dice: «È tempo che ci interessiamo della gente delle Mentawai ». Il 3 dicembre, dopo circa diciotto ore di navigazione, l’imbarcazione salpata dal porto di Padang, entra nel Golfo di Siberut. Padre Cannizzaro stabilisce il suo quartier generale su una baia denominata “Terra di Maria” perché in quel posto aveva seminato un pugno di medaglie della Madonna.

Su quelle isole nessun missionario aveva mai predicato il Vangelo. Il sacerdote reggino aveva sentito dire che nella migliore delle ipotesi «i mentawaiani accoglievano i forestieri con frecce avvelenate, includendo talvolta le parti migliori dei malcapitati nel menù del giorno». Gli isolani erano animisti guidati da stregoni. Padre Cannizzaro dovette apprendere la loro lingua e adattare linguaggio e riti per l’evangelizzazione.


PER APPROFONDIRE: Gallico, “gran finale” per Estate Ragazzi 2023


Cosa che ha fatto non senza difficoltà, con un salto di mentalità in piena preistoria, scoprendo anzitutto le affinità religiose ed i valori essenziali della vita: monoteismo, monogamia, mitezza ed armonia con l’Universo creato. Anche l’avventura evangelizzatrice tra i primitivi delle Mentawai si concluse dopo appena un triennio. Assalito da febbre altissima diagnosticata malaria tropicale, padre Cannizzaro è costretto al rientro in Italia.

La missione "più grande": Gallico

Ma la missione di padre Cannizzaro non si è interrotta perché, come egli stesso scrive: «Feci il girovago di Dio tra seminari, scuole pubbliche e private, fabbriche, case per anziani, carceri, ospedali», finché nell’estate del 1967 viene incaricato di prendersi cura del Santuario gallicese della Grazia. Su tre ettari di terreno accidentato della fiumara San Biagio di Gallico, costruisce quello che viene chiamato Parco della Mondialità.

Per padre Cannizzaro, il «Parco della Mondialità significa uscire dal chiuso dell’Io per ritrovarsi con Dio, amore per tutti gli uomini, per tutti i viventi, per tutte le cose». Le costruzioni assumono l’architettura della pagoda o della moschea, della muraglia cinese, del tucul o del totem indiano. Le cappelle rappresentano il Presepe dei Popoli, la Via Crucis, l’Orto degli Ulivi, i gruppi monumentali del Calvario, dell’Ascensione e della Pentecoste.

Padre Cannizzaro, che era stato mandato a Gallico provvisoriamente, vi rimase per 25 anni. Fino a quando un tumore ne stroncava la forte fibra e la fantasia missionaria. All’alba del 26 marzo 1992, assistito dal confratello don Franco Saraceno, è andato a trovare riposo nelle braccia del Buon Pastore.

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