Avvenire di Calabria

Intesa testimonianza del medico che si occupa dei bambini rifugiati: «Il regno di Dio non viene da solo, dobbiamo spenderci».

Martin Kolek: «Non serve un passaporto per sentirsi fratelli»

Anna Foti

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«Nessuna organizzazione governativa fa la pattuglia per prestare attivamente salvataggio in mare, eccezione fatta per la Guardia Costiera italiana, altrimenti ci sono solo le Ong. Con una di queste ero, nel 2016, al largo delle coste della Libia. Eravamo in 13, provenienti da paesi diversi, per un solo motivo: aiutare chi era in pericolo di vita». Particolarmente intensa è stata la testimonianza resa da Martin Kolek, con l’aiuto di Martina Mangels, in occasione della veglia di preghiera promossa, nella cornice della chiesa di San Francesco da Paola di Reggio, dall’arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova. Capace di coniugare un radicato amore per il prossimo con una vibrante passione civile, Martin Kolek, psicoterapeuta per bambini e adolescenti rifugiati che arrivano in Germania traumatizzati, ha raccontato le sue esperienze nel mar Mediterraneo al cospetto dell’umanità ad un passo dalla morte e sulla terraferma al cospetto di una politica spesso sorda. «Quando io avevo i neonati annegati tra le mia braccia – ed eravamo soli, loro ed io – l’ho sentito: il regno di Dio non viene da solo. Dobbiamo agire noi, e in questo caso, siamo arrivati troppo tardi». Un dolore inestricabile è rimasto dentro di lui dopo avere stretto tra le braccia i due corpi senza vita dei neonati Mohamed e Maryam. È avvenuto nel maggio 2016 quando era componente dell’equipaggio della SeaWatch 2 in azione al largo della Libia. Ai due piccoli, Martin Kolek ha dedicato il volume “Terra del futuro – Mission Possible”, strumento di un progetto di sensibilizzazione, avviato in Germania ma che si proietta anche oltre, sul tema delle migrazioni, delle tante storie di dolore e ingiustizia che si consumano tra la Libia e il Mediterraneo nell’indifferenza generale e della responsabilità che ci rendono tutti Fratelli e Sorelle, al di là di uno status di cittadini di questa o quella nazionalità.

Curato da Martin Kolek, il libro si è avvalso anche dell’apporto dei giornalisti fotografi Christian Buttner e Andreas Kuno Richter, della professoressa Bernadette Grawe e delle dottoresse Inge Philliper, Waltraud Teigeler e Irene Gallerani per le traduzioni. Tra le testimonianze raccolte al porto di Reggio Calabria anche quella dei volontari reggini Fabio Siclari, impegnato nel settore protezione civile dell’Agesci, Angela Mallamaci e Caterina Canale, impegnate nell’Unione nazionale associazioni Tutela Ambiente Animali – gruppo intervento Difesa Ambientale (Unataa Gida), e quella dei soci del sodalizio culturale CatAr Tica Care.

Il volume è frutto dell’indifferibile esigenza di raccontare e di testimoniare, coinvolgendo altri operatori e volontari dell’accoglienza e del soccorso, la necessità di agire, di intervenire per salvare vite umane.

«Anche chi non crede in un Dio, chi si rende conto, una volta per tutte, che tutti noi insieme viviamo sullo stesso pianeta, che condividiamo, capisce che apparteniamo in qualche modo alla stessa famiglia, che siamo infatti fratelli e sorelle. E se questi fratelli, queste sorelle gridano aiuto, allora ci andiamo – anche senza un permesso o un ordine di qualche stato. Come credenti, sappiamo di essere figli di un Dio. Noi apparteniamo al regno di Dio ancor prima di nascere e ci apparteniamo anche quando lasciamo questo mondo. Noi siamo il regno di dio, non abbiamo bisogno di passaporto o timbro e di nessun permesso di riconoscerci come fratelli e sorelle».

Non c’è bisogno di un passaporto per essere e sentirsi sorelle e fratelli, per rispondere con un’azione a chi chieda aiuto per sopravvivere.

Dopo il recupero in mare dei corpicini esanimi di Mohamed e Maryam, dopo quella giornata di soccorsi particolarmente dolorosa, Martin Kolek ha raccontato di essere stato travolto da una immensa tristezza e da un profondo scoraggiamento. Ma dopo si è aperto uno spiraglio. «Oggi la vedo in modo diverso, ecco perchè sono qui: c’è ora spazio per una nuova dimensione ». Egli adesso scorge un varco di speranza alimentato dalla testimonianza, dall’incontro e dalla condivisione, dall’impegno che ciascuno deve assumersi perchè, come scrisse Jean Paul Sartre, «La vita umana inizia dall’altra parte della disperazione».

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