
“Fragile, maneggiare con cura”: a Reggio Calabria un incontro sulla fragilità con don Massimo Angelelli
La fragilità umana non è una debolezza, ma una parte essenziale della nostra identità. Un
Monsignor Antonino Raspanti è il vescovo di Acireale: dal 2017 è stato eletto vicepresidente per l’Italia meridionale della Conferenza episcopale italiana. Con lui abbiamo parlato delle novità legislative approvate o in cantiere che riguardano proprio il Mezzogiorno del Paese.
Le nuove misure varate dal Governo gialloverde hanno due ambizioni importanti: sconfiggere la povertà e rilanciare l’occupazione. Secondo lei sono sufficienti per raggiungere questi obiettivi?
Da soli, mi sembra di no. Senza entrare nel merito alle possibili ripercussioni sul bilancio dello Stato (che già è abbastanza in affanno), però, guardando allo scopo che vogliono raggiungere, qualche dubbio rimane. Sul Reddito di cittadinanza, in Sicilia, negli anni ‘80 e ‘90 abbiamo avuto misure sociali di distribuzione di denaro ai giovani e ai ceti deboli attraverso provvedimenti simili, su tutti i lavoratori socialmente utili.
Debbo evidenziare che queste soluzioni non hanno aiutato questi soggetti a inserirsi socialmente, a produrre o a creare lavoro. Spesso, invece, hanno portato soltanto a nuovo precariato che è stato, poi, stabilizzata con un iter lunghissimo dalla Pubblica Amministrazione che se ne è dovuta fare carico in modo ingente.
La riforma del regionalismo differenziato potrebbe aumentare delle disparità tra nord e sud del Paese. Lei che ne pensa?
Finora i Governi, comunque, hanno prodotto una disparità. La domanda da porsi, allora, è un’altra: dipende soltanto dal Legislatore questa ingente differenziazione oppure è riferibile alla cittadinanza che non riesce a mettersi al passo? I meridionali devono continuare a sentirsi dire che sono «mantenuti»? Persone e comunità «senza voglia»? Certamente, sono frasi eccessive e false che sottendono dei punti di vista sbagliati, come ad esempio quello di «sganciare il Sud» dal resto del Paese.
Quale potrebbe essere una soluzione rispetto alla cosiddetta “questione meridionale”?
Tentare di trovare una soluzione equa per evitare che si concretizzi questa separazione netta tra le due anime della Nazione. L’obiettivo è fornire le stesse opportunità a tutti i cittadini, qualunque sia la regione in cui vivono. La “scossa”, che è necessaria per il Mezzogiorno, è un fatto etico e culturale prima ancora che economico.
Sussidiarietà, questa potrebbe essere la parola–chiave. Un esempio è quello che fa la Chiesa italiana nei diversi territori: si può traslare questo modello nella società?
Tutto parte dai valori: se il principio di carità non è assoluto, allora trasferire questo modello è davvero difficile. Probabilmente, rispetto alle “buone prassi” che esistono nel Paese, la Chiesa è fonte di ispirazione per i territori: basti pensare alla Cassa Depositi e Prestiti, piuttosto che i Fondi per il Sud o Invitalia. Ci sono misure che tendono a creare questa sussidiarietà; però, ribadisco, se alcune regioni non riescono a mettersi al passo con le innovazione culturali, allora diventa difficile persino spendere le risorse a propria disposizione. Vuole un esempio? Parliamo di come vengono gestiti e non–spesi i finanziamenti europei.
Perché viene sprecato questo patrimonio?
I motivi potrebbero essere tanti: norme pensate da visioni «lontane» da quelle vissute alle nostre latitudini, ma anche la cattiva burocrazia che crea lungaggini infinite o peggio ancora per la pochezza etica di quanti vogliono arraffare il più possibile. Tutte queste misure emanate a gettito continuo da cinquant’anni a questa parte per il Mezzogiorno, stanno lasciando il Sud più povero di prima.
Restando in tema di politiche europee, lei che idea si è fatto delle politiche migratorie degli ultimi tempi?
Questo politiche sono molto influenzate da interessi di altro genere: alcune nazioni europee hanno scaricato l’emergenza umanitaria sull’Italia poiché impegnati a gestire altre dinamiche, spesso economiche, proprio dai paesi di origine di questi migranti. Questi processi sono stati determinati da equilibri internazionali ampi. In tutto questo, la politica italiana non è stata fuori da questi scacchieri, ma ha dovuto pagare lo scotto del sensazionalismo. L’emergenza ha toccato la sensibilità di tutti, facendo percepire questo fenomeno come fortemente emotivo. Ma dietro questa “punta”, c’è un iceberg che non si vuole fare emergere e affrontato.
Tornando al Mezzogiorno, quanto servirebbe infrastrutturare meglio il Sud e, nello specifico, se e come il Ponte sullo Stretto potrebbe diventare il volano di questo nuovo sviluppo?
Rispetto al Ponte sullo Stretto sono dell’idea che tendenzialmente non sia poi così fondamentale: spendere tutti quei soldi per un’opera faraonica, potrebbe ridurre la possibilità di intervento in altre aree che sono a rischio isolamento. In tal senso, allora è ovvio che il tema delle infrastrutture che – ad oggi sono al collasso – è centrale. Parliamo di ferrovie, strade, collegamenti marittimi quasi a livello di terzo mondo. Occorre chiaramente agire per dare dignità.
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