Avvenire di Calabria

L'arcivescovo di Monreale e Presidente della Commissione per la beatificazione di don Sturzo ha incontrato i presbiteri reggini

Pennisi: «L’eredità politica di don Sturzo ai cattolici di oggi»

Redazione Web

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di Michele Pennisi * - Papa Francesco in un Messaggio autografo rivolto il 13 giugno 2019 ai partecipanti al Convegno internazionale per il centenario dell’appello “a tutti gli uomini liberi e forti” tenutosi a Caltagirone ha scritto: «Luigi Sturzo, prima che statista, politico, sociologo e poliedrico letterato, era un sacerdote obbediente alla Chiesa, un uomo di Dio che ha lottato strenuamente per difendere e incarnare gli insegnamenti evangelici, nella sua terra di Sicilia, nei lunghi anni di esilio in Inghilterra e negli Stati Uniti e negli anni ultimi della sua vita a Roma». Don Luigi Sturzo, ha vissuto una spiritualità incarnata nell’ambiente sociale del suo tempo ed ha esercitato la sua carità pastorale attraverso un impegno culturale, sociale e politico d’ampio respiro. Jacques Maritain (filosofo francese, allievo di Henri Bergson, convertitosi al cattolicesimo, ndr) ha scritto su Sturzo: «Ciò che è al di sopra di tutto colpiva in lui era la pace dell’anima, la fiducia soprannaturale e una straordinaria serenità la cui sorgente era nascosta in Dio. Si percepiva che egli riceveva la forza della sua missione sacerdotale dall’offerta nella quale donava se stesso offrendo Gesù Cristo. Sacerdote innanzi tutto, egli non aveva difficoltà a mantenere intatti, in mezzo alle agitazioni politiche il suo ministero sacerdotale e la sua vita interiore. In lui l’attività temporale e la vita spirituale erano tanto più perfettamente di stinte perché intimamente unite, nell’amore e nel servizio di Cristo».

È impossibile capire profondamente don Sturzo se si prescinde dalla visione teologica basata sul realismo del soprannaturale che ha permeato non solo la sua vita interiore di «prete piissimo» come lo definì Arturo Carlo Jemolo, ma anche tutta la sua vastissima opera in campo culturale, sociale e politico. Don Luigi certamente nel giorno della sua ordinazione non poteva pensare dove e come l’avrebbe condotto la Provvidenza nel corso del suo ministero sacerdotale. Nella sua travagliata esperienza non venne mai meno alla coerenza con la sua vocazione sacerdotale. Quando decise di fondare il Partito Popolare Italiano si recò con i suoi amici nella chiesa dei Santi Apostoli per una ora di preghiera. Ricordando questo episodio scrisse: «Durante quest’ora di adorazione rievocai tutta la tragedia della mia vita. Non avevo mai chiesto nulla, non cercavo nulla, ero rimasto un semplice prete: per consacrarmi all’azione cattolica sociale e municipale avevo rinunciato alla cattedra di filosofia; dopo venticinque anni ecco che abbandonavo anche l’azione cattolica, per dedicarmi esclusivamente alla politica. Ne vidi i pericoli e piansi. Accettavo la nuova carica di capo del partito popolare con l’amarezza nel cuore, ma come un apostolato, come un sacrificio». Nel suo testamento spirituale, redatto il 7 ottobre del 1958 – ricorda sempre papa Francesco – egli scriveva: «A coloro che mi hanno criticato per la mia attività politica, per il mio amore alla libertà, il mio attaccamento alla democrazia, debbo aggiungere, che a questa vita di battaglie e di tribolazioni non venni di mia volontà, né per desiderio di scopi terreni né di soddisfazioni umane: vi sono arrivato portato dagli eventi». E aggiungeva: «Riconosco le difficoltà di mantenere intatta da passioni umane la vita sacerdotale e Dio sa quanto mi sono state amare le esperienze pratiche di sessanta anni di tale vita; ma ho offerto a Dio e tutto indirizzato alla sua gloria e in tutto ho cercato di adempiere il servizio della verità».
 
È impossibile capire profondamente Sturzo se si prescinde dalla visione teologica sottesa a tutta la sua opera e dal suo impegno pastorale di prete. «Nella mia vita – scrisse – ho chie sto incessantemente al Signore di essere sempre e soltanto, ovun que sacerdote, alter Christus». A un suo compagno Luigi Caruso scriveva nel 1895 da Roma dove era andato a completare gli studi: «Sono qui per studiare teologia e sociologia: quella per elevarmi a Dio e alle cose divine, questa per prepararmi a svolgere una proficua missione a pro’ del popolo». È da queste poche righe, che già indicano tutto un programma di vita, da una parte la sua fedeltà assoluta alla sua vocazione sacerdotale, dall’altra parte la modernità dell’uomo di azione che ha capito che ormai la sua attività sacerdotale deve svolgersi fra il popolo. La “conversione” di Sturzo all’azione sociale e la sua “vocazione politica” come lui la chiama sono state provocate più che dalla lettura dei documenti del magistero ecclesiastico, soprattutto dalla constatazione della miseria sia nei quartieri popolari romani dove fu mandato a benedire le case sia nella sua Caltagirone dove un gruppo di operai si rivolse a lui per avere consiglio e aiuto. Il riferimento costante alla croce di Cristo e alla dimensione escatologica del cristianesimo, servì a liberare Sturzo dalla volontà di affermazione e di successo a ogni costo e impe dì che il suo progetto politico originale fosse presentato come la “panacea” di tutti i mali. Da questa concezione egli derivò lo spirito di sacrificio nella lotta per la giustizia, l’attesa paziente anche se non passiva dell’avvenire, il puntare su tempi lunghi, la capacità di accettare gli insuccessi e le sconfitte politiche senza perdersi d’animo, l’ubbidienza attiva, talvolta sofferta e mai servile.

* Arcivescovo di Monreale e Presidente della Commissione per la beatificazione di don Sturzo

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