Avvenire di Calabria

La riflessione del direttore della Caritas diocesana, don Antonino Pangallo. Si richiama il discorso di papa Francesco al convegno di Firenze

Ripartire da Firenze: la tentazione pelagiana

Antonino Pangallo

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Nel tempo quaresimale siamo tutti chiamati ad intensificare il discernimento personale e comunitario, al fine di smascherare le mille forme attraverso le quali la tentazione cerca di portarci fuori strada. Il cammino della conversione passa sempre attraverso il discernimento degli spiriti.
Vi sono tentazioni personali ma anche comunitarie che toccano la Chiesa intera. Tra queste ultime, nel suo discorso al Convegno di Firenze, papa Francesco ne individua due: il pelagianesimo e lo gnosticismo. Cerchiamo di scavare in queste parole per cogliere spunti per il nostro cammino.
Nella Chiesa del secolo quarto, dopo i concili di Nicea e Costantinopoli, Pelagio aveva la preoccupazione di salvare il cristianesimo dalla superficialità. Dopo le persecuzioni intere masse di pagani accoglievano la fede cristiana. C’era evidente il rischio di una appartenenza religiosa superficiale senza radici. Era necessario mettere ordine ed evitare il decadimento. Paradossalmente le persecuzioni erano finite ma iniziava un lassismo generale.
Pelagio tentava di dare una risposta alla crisi richiamando alla severità. Tuttavia, la comprensibile preoccupazione si trasformava in un’arma a doppio taglio, in una tentazione appunto, fino a cadere nell’eresia. Sant’Agostino dovrà a lungo misurarsi con tale visione.
Oggi ci ritroviamo in una situazione simile. Val la pena andare direttamente al testo del discorso di papa Francesco nel novembre del 2015 a Firenze. La tentazione pelagiana viene descritta: «Essa spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perchè astratte».
L’intenzionalità positiva rischia di imprigionare dentro modalità che rimangono astratte nella loro perfezione. Noi parroci sentiamo la fatica della gestione amministrativa e da direttore della Caritas vedo la complessità della gestione delle opere caritative. Basti pensare alle molteplici responsabilità di ordine tecnico nelle comunità cristiane. C’è sempre di più la necessità di competenze gestionali. Certamente, oggi come ieri, tutto ciò è necessario.
Tuttavia, proprio in questa situazione, ci potrebbe essere il rischio di pensare che una buona organizzazione risolva i problemi. La tentazione di riporre tutto nella pianificazione è forte. La pastorale viene così assorbita dalla gestione. Un corpo senz’anima muore.
Ma vi sono altri risvolti più profondi per il Papa. La tentazione pelagiana spesso «ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito». Avere tutto sotto controllo, con atteggiamenti duri e normativi, è un passaggio ulteriore. Si diventa intransigenti e direttivi. È come se la visione conciliare del popolo di Dio lasciasse il passo alla necessità di far quadrare le righe alle poche milizie rimaste. Ci si sente sempre sotto assedio vivendo così in difensiva, con l’illusione che controllo, durezza, normatività, strutture, organizzazione siano la soluzione. La psicosi dell’assedio porta a mettere una inutile corazza, come tentava di fare Saul con Davide, dinanzi a Golia.
Per certi versi si ripete il clima nostalgico di restaurazione, lo stesso che creò turbamento all’annuncio del Concilio e cercò di ridurre l’assise conciliare alla veloce approvazione di documenti elaborati a tavolino. La riforma ecclesiale non è un’operazione di maquillage. Il rischio della mondanità spirituale è esattamente speculare alla rigidità farisaica.

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